Il 18 luglio del 1870 viene pubblicata la costituzione dogmatica Pastor Aeternus, con la quale il Concilio Vaticano I, convocato e presieduto da papa Pio IX, definisce principalmente due dogmi: quello del primato papale (cioè l’autorità apostolica del vescovo di Roma su tutta la Chiesa) e quello dell’infallibilità papale. A sostenere la necessità di quest’ultimo, che pure non rientrava nell’ordine del giorno iniziale del Concilio, fu, con diversi interventi, l’arcivescovo di Messina, Luigi Natoli.
L’idea di formalizzare la facoltà del pontefice di definire un dogma in modo infallibile fu inizialmente avversata da molti vescovi americani, francesi e tedeschi, che temevano soprattutto che questo potesse allontanare i nuovi convertiti, risvegliando sospetti sul cattolicesimo. 60 furono i membri del Concilio che lasciarono Roma il giorno prima del voto sulla costituzione, che generò anche un piccolo scisma: nacque infatti il gruppo delle chiese dei “vecchi cattolici”, che rifiutavano il dogma dell’infallibilità.
Questo è, nel testo, così espresso: “Proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per sé stesse, e non per il consenso della Chiesa“.