Il veneto Gino Pizzati, scomparso a Mira il 28/06/2019, era un imprenditore del ramo del tessile. Ma, prima di scivolare le dita su metri di stoffa, le mani di Gino erano ben salde sulla cloche dei caccia della Seconda Guerra Mondiale. Il regista Claudio Costa gli ha infatti dedicato il documentario “Dai pulcini di Quarantotti alle comete di Visconti”. Cosa c’entrano i pulcini con le comete? Lo spiegava bene lo stesso Pizzati in un’intervista contenuta nel libro “A difendere i cieli d’Italia” (M.Petrelli, Ciclostile, 2014).

Nell’estate del 1942 Gino è in Sicilia dove si imbatte nella caccia britannica che protegge Malta dai bombardieri italo-tedeschi. Vola con la 150esima Squadriglia del II Gruppo autonomo caccia terrestre “Pulcino pistolero”, comandato dal tenente colonnello Aldo Quarantotti. “Avevo avuto l’idea di un pulcino pistolero, che fu poi realizzato dal sergente pilota Gianni Dringoli (caduto in combattimento su Malta), straordinario disegnatore e vignettista. Al comandante il disegno piace a tal punto da sceglierlo quale emblema di reparto” ricordava Gino nella sua intervista.
Uno stemma irriverente per un’unità segnata, suo malgrado, da perdite numerose, compresa quella di tre aviatori abbattuti uno dopo l’altro dal “libero canadese”, come lo chiamava Pizzati: “Un giorno, mentre ero in quota, vidi che il tenente Vichi (Francesco Vichi, nda) era stato colpito da uno Spitfire e precipitava in mare. Tornato alla base, però, mi dissero che si era lanciato e che Quarantotti e il suo gregario Seganti (sottotenente pilota Carlo Seganti, nda) erano appena decollati per andarlo a cercare”.
Nel documentario di Costa, Gino si cruccia del fatto di non essere tornato in tempo per avvertire il comandante del II Gruppo della morte di Vichi. Infatti, la squadra di soccorso finisce tra le grinfie del “libero canadese”, l’ufficiale pilota della RCAF (Royal Canadian Air Force) George Beurling e viene abbattuta. La fine di Quarantotti la racconta poi un ex sottufficiale del 51^ Stormo, Nicola Malizia, storico dell’aviazione, che alla guerra aerea su Malta ha dedicato diverse pagine del suo “Quelli del Gatto Nero” (Litografia Bianchini, 1998): “A differenza dei nostri aerei, gli Spitfires britannici erano equipaggiati con un potente cannoncino aeronautico da 20mm. E proprio da quest’arma molto potente e letale partì la raffica che colpì l’abitacolo del caccia di Quarantotti (un Reggiane 2001, nda). Una sequenza dai contorni macabri: il tenente colonnello è decapitato dalla scarica”.
Vicenda terribile, purtroppo né l’unica né l’ultima che investe la vita del sergente maggiore pilota Pizzati.
“Dopo l’8 settembre 1943 – raccontava ancora Pizzati nella sua intervista – i sottufficiali (e credo anche gli ufficiali della 150^ squadriglia) non avevano ancora riscosso lo stipendio del mese di agosto, da qui il rientro a casa con il motivo che non erano arrivati i fondi in banca. Noi invece abbiamo pensato che si trattasse di una punizione per il personale della squadriglia che continuamente si lamentava della mensa”. Gino si presenta alla II ZAT (Zona Aerea Territoriale) di Padova dove trova altri suoi colleghi e il comandante Giuseppe Baylon. “Con il Capitano Bonet (…) e con il sergente pilota Piero Sguotti ci siamo presentati presso il comando della ZAT e siamo stati ricevuti dal tenente colonnello Giuseppe Baylon, che già ci conosceva per essere stato in precedenza comandante del II Gruppo con i Fiat G.50 nel Nord Africa”.
Pizzati sosteneva di essere tornato in quota tra Ottobre e Novembre con la sua vecchia unità, il 150^ Caccia Terrestre. Nel Gennaio 1944 viene poi assegnato alla neo costituita Squadriglia complementare d’allarme “Montefusco”, comandata dal Capitano Giovanni Bonet, con base a Venaria Reale nei pressi di Torino ed equipaggiata con i più moderni caccia italiani dell’epoca, i Fiat G55. Il 29 Marzo 1944 il capo squadriglia è abbattuto sui cieli emiliani. L’unità cambia denominazione in “Montefusco Bonet” in onore del caduto, per finire poi accorpata al I Gruppo Caccia Terrestre “Asso di Bastoni” del maggiore Adriano Visconti. E qui si scopre il perché di quel termine: “comete”. “Nel Novembre ‘44 – raccontava ancora Pizzati – sono convocato, con altri colleghi, da Visconti per partecipare all’addestramento in Germania sui Messerschmitt Me 163, tra i primi caccia a reazione della storia”.
Il Messerschmitt Me 163 “Komet” (da cui appunto “cometa”) fa onore al suo nome: tozzo, sembra un masso a cui abbiano montato le ali. Eppure, nelle ultime fasi della II Guerra Mondiale, pare abbia suscitato non poca preoccupazione tra gli equipaggi dei bombardieri alleati che se lo vedevano schizzare in mezzo alla formazione. “Purtroppo né io né gli altri piloti presenti 12 gennaio del 1945 all’aeroporto di Sprottau (Breslavia) potemmo svolgere attività di volo, a causa dei 30 centimetri di neve caduta durante la notte”, raccontava Pizzati, che rimase in servizio “fino all’Aprile del 1945, quando l’intero reparto era distaccato a Cascina Co-sta, nei pressi di Gallarate”.
A Gallarate gli aviatori di Salò suscitano l’“interesse” dei partigiani. Ancora Pizzati:“Una sera alcuni allievi ufficiali uscirono dalla caserma per andare al cinema. Li avvertimmo che era pericoloso girare soli per la zona, ma non ci ascoltarono. Al rientro furono attaccati dai partigiani: tre morti. Visconti era furibondo. Ci avevano fatto il nome di uno degli assassini e andammo a prenderlo, ma appurata la sua estraneità al crimine, il maggiore lo rilasciò. Probabilmente era stato venduto.”
Gino Pizzati: la resa e l’assassinio di Adirano Visconti

L’assassinio degli allievi è il preludio di un episodio ancora più drammatico che di lì a a poco avrebbe coinvolto l’unità. Il 25 Aprile i partigiani circondano gli acquartieramenti del I Gruppo Caccia Terrestre, chiedendo la resa dei reparti. Le trattative durano tre giorni e vi partecipano anche due colonnelli della Regia Aeronautica del Sud. Visconti alla fine cede, ma strappa al CLNAI la promessa che non sarà fatto alcun male al personale della base; inoltre agli ufficiali è consentito di tenere l’arma d’ordinanza. Il 29 Aprile 1945 Visconti e i suoi sono trasferiti a Milano, ma le cose non vanno come previsto: “I partigiani si erano montati la testa, volevano il sangue. Il maggiore Visconti lo portarono alla caserma del ‘Savoia Cavalleria’ a Milano e lì lo ammazzarono”
Violando i patti, i piloti vengono disarmati. Visconti e il suo attendente Valerio Stefanini vengono ammazzati con una raffica di mitra alle spalle. A sparare è un partigiano russo, inquadrato nella II Divisione Garibaldi “Redi” del comandante “Iso”, al secolo Aldo Aniasi, futuro sindaco di Milano e due volte ministro della sanità in governi della Democrazia Cristiana. A fornire una chiara ricostruzione della vicenda è il giornalista Antonio Pannullo in un articolo pubblicato il 29 Aprile 2013 su Il Secolo d’Italia: “ [...]Visconti e il suo aiutante Stefanini vennero allontanati con il pretesto di volerli interrogare. Mentre si allontanavano con i partigia- ni, i due vennero falciati da due raffiche di mitra alla schiena: il sottotenente Stefanini istintivamente tentò di coprire Visconti col suo corpo, ottenendo solo di farlo ferire gravemente. Il maggiore fu poi finito con due colpi di pistola alla testa. A sparare fu il guardia spalle di Aniasi, un partigiano russo, e il ruolo del futuro sindaco di Milano non fu mai chiarito, perché il duplice assassinio fu considerato ‘legittimo atto di guerra’, in quanto accaduto prima dell’8 maggio 1945, fine ufficiale delle ostilità in Europa[…]”
Al termine del conflitto Pizzati lavorò “in una bottega di confezioni”. Poi si mise in proprio, creando con la moglie la Daina Confezioni: un’azienda di abbigliamento con oltre 150 dipendenti.
Immagine per gentile concessione di Gino Pizzati all’autore dell’articolo per il suo libro “A difendere i cieli d’Italia” (2014, Ciclostile)