Accadde oggi. “Il 5 maggio”: Ei fu. La morte di Napoleone

Il 15 ottobre 1815 Napoleone e il suo seguito, imbarcati sulla fregata inglese Northumberland, arrivano nell’isola di Sant’Elena, uno dei più squallidi e remoti possedimenti inglesi. Situata nell’Atlantico meridionale, l’isola si trova a 1900 chilometri dalla costa dell’Angola, il paese più vicino. Poche migliaia di abitanti, in maggioranza militari del contingente inglese. E’ una rocca isolata e spoglia a 300 metri sul mare, difficile da raggiungere. Si può facilmente immaginare la delusione dei francesi che si aspettavano invece di trovare un’accogliente isola tropicale, lussureggiante, soleggiata e piena di vita animale. E non è tutto. Il clima nell’isola è pessimo. Piove praticamente tutti i giorni, soprattutto nell’altipiano di Longwood, dove dovrà soggiornare l’ex imperatore. Questo è il luogo dove Napoleone Bonaparte, l’uomo che aveva conquistato e dominato l’Europa, dovrà vivere per il resto dei suoi giorni. Unica consolazione, ha potuto portare con sé un piccola “corte”. 

Accompagnano in effetti Napoleone in questa sua ultima avventura, il maresciallo Henri-Gatien Bertrand, i generali Charles De Montholon e Gaspar Gourgaud, le signore  Bertrand e de Montholon, il memorialista Emmanuel de La Cases, 11 domestici e il suo fido maggiordomo Louis Marchand.

Gli alloggi riservati alla comitiva francese sono piuttosto “basici”, “un’agglomerazione di baracche costruite per dare rifugio agli animali”. Lo stesso ex imperatore dispone solo di quattro anguste camere, presto soffocate da libri e carte di vario genere. Senza contare le misure eccezionali di sorveglianza cui sono sottoposti i prigionieri. Ci sono nell’isola ben cinquecento ufficiali (sufficienti per inquadrare un esercito di 30.000 uomini!) e 2500 sodati.  Due navi da guerra sorvegliano in permanenza le coste dell’isola e una rete di segnali ottici consente uno scambio in tempo reale di notizie sui prigionieri. E’ chiaro insomma che da lì Napoleone non potrà mai evadere, non potrà ripetere l’exploit dell’isola d’Elba. Il “mostro” questa volta è stato davvero ingabbiato. 

Napoleone cerca di ricreare in qualche modo l’etichetta e le abitudini della corte per sentirsi ancora un sovrano… Con il tempo tuttavia la noia e lo squallore dell’ambiente esterno finiscono per provocare una certa tensione nei rapporti tra Napoleone e il suo seguito e anche tra gli stessi compagni di Napoleone. Questi, in effetti, diventano gelosi l’uno dell’altro, disputandosi i favori del grande corso, che potrebbe anche ricordarli nel suo testamento e cominciano francamente a odiarsi.  Intanto Napoleone detta a Las Cases le sue memorie a beneficio della posterità.

Nel 1818 Albine de Montholon partorisce un bambina e chiede l’autorizzazione di rientrare in Francia, dove peraltro ha fretta di ritrovare i due figli che vi ha lasciato. Napoleone si mostra comprensivo. Non solo dà l’autorizzazione, ma suggerisce anche al marito di seguire la famigliola perché per lui sarà troppo doloroso rimanere nella prigione a cielo aperto che è Sant’Elena senza moglie e senza figlia. 

De Montholon tuttavia rifiuta. La situazione è cambiata, la salute dell’imperatore si è bruscamente aggravata. Non può e non vuole lasciarlo in quelle condizioni. Da diversi anni Napoleone soffre di dolori allo stomaco. Tanto che ha preso l’abitudine di passare la mano sotto il gilet quasi a voler proteggere la parte dolorante, posizione immortalata dai pittori che l’hanno ritratto. A partire dal 1820 la sue condizioni di salute hanno cominciato a peggiorare in maniera significativa e rapida. 

Ecco come descrive la situazione de Montholon in una lettera a sua moglie del 5 dicembre di quell’anno: “La malattia dell’imperatore ha preso una brutta piega. Alla sua malattia cronica, si è aggiunta una preoccupante debolezza. Tanto che non può svolgere alcuna funzione vitale senza provare una stanchezza estrema che spesso gli causa perdita di conoscenza”. La malattia fa progressi inesorabili. La fine del calvario è vicina. Napoleone muore il 5 maggio 1821. Gli inglesi fanno naturalmente praticare l’autopsia da cui risulta che: “La superficie interna dello stomaco, in tutta la sua estensione, non è che una massa d’infiammazioni cancerose, in particolare nei pressi del piloro”. 

Queste sono le circostanze della morte di Napoleone, quanto meno quelle che si conoscevano e venivano indicate nei libri di Storia fino agli inizi degli anni 1960.

Nel 1961 tuttavia arriva un colpo di scena! Due giornalisti canadesi, Ben Werder e David Hapgood pubblicano l’intervista al medico e dentista svedese Sten Forshufvud il quale afferma di poter dimostrare che Napoleone in realtà è stato ucciso, avvelenato con l’arsenico. E’ la conclusione cui è arrivato il medico dopo aver sottoposto una ciocca dei capelli dell’imperatore a un esame fatto col nuovo procedimento del bombardamento nucleare. Napoleone assassinato e da chi? La notizia suscita vivo interesse e stimola un acceso dibattito tra gli storici, divisi tra scettici e sostenitori della nuova narrazione della morte del prigioniero di Sant’Elena. Ma quali sono le argomentazioni del medico svedese?

Innanzitutto fa riferimento al diario di Marchand, il fedele cameriere personale di Napoleone che dirigeva il personale di servizio a Sant’Elena. Tenuto segreto in un primo tempo per volontà stessa dell’autore e in seguito del tutto dimenticato, il diario viene ritrovato nel 1950, assieme alla ciocca di capelli dell’imperatore che era stata inserita per ricordo tra le sue pagine. Una ciocca di capelli lunghi 7,5 cm. Ora, siccome un capello cresce di 1,5 cm al mese, quei capelli possono dare indicazioni sugli ultimi tre mesi di vita di Napoleone. Il moderno metodo usato dal medico svedese per l’esame della ciocca ha rilevato tracce di arsenico, in quantità variabili a seconda della porzione del capello. Quantità in ogni caso apparentemente compatibili con i sintomi manifestati dall’imperatore.

Il medico corso Francesco Antommarchi annota il 26 febbraio 1821 “ L’imperatore ha avuto una brusca ricaduta, tosse secca, vomito, bruciore nell’intestino, agitazione generale, ansia, accompagnata da un’intensa sete”.

Sembrano proprio i sintomi tipici dell’avvelenamento da arsenico! 

Napoleone peraltro non sarebbe morto solo a causa dell’arsenico. L’effetto fatale, secondo il medico svedese, sarebbe stato provocato anche dall’aggiunta di altre tre sostanze tossiche ingerite da Napoleone: l’antimonio, l’acido prussico e il calomelano. L’antimonio era contenuto in un medicinale emetico, prescritto da Antommarchi, che provocava forti rigurgiti e vomiti a catena nella falsa credenza dell’epoca che in tale modo la stessa malattia potesse essere espulsa. Il 22 aprile 1821 viene servita all’imperatore una nuova bevanda, l’orzata, liquido a base di olio di mandorle amare, contenente acido prussico. Inoltre a pochi giorni dalla sua morte, Antommarchi gli prescrive 10 chicchi di calomelano, sostanza contenente cloruro di mercurio, disinfettante intestinale che può rivelarsi tossico, quando la dose normale è di mezzo chicco. Di conseguenza Napoleone ha ben ingurgitato senza volerlo sostanze nocive che combinate con l’arsenico a piccole dosi hanno distrutto il suo fisico. Questa in sostanza la tesi del medico svedese e dei giornalisti canadesi. Tesi che a prima vista appare affascinante e piuttosto convincente. 

Ma se Napoleone è stato assassinato, chi è stato l’assassino?

Gli inglesi? L’avvelenamento graduale sarebbe stato ordinato dal governo di Londra che voleva farla finita col “mostro”, la cui custodia peraltro comportava un costo eccessivo! Un piccolo esercito, in effetti, era stato mobilitato per tenere d’occhio l’uomo che era fuggito dall’isola d’Elba. Dispositivo che poteva essere azzerato se Napoleone fosse morto per cause naturali. Tesi che si sviluppò a seguito della pubblicazione del famoso memoriale di Las Cases, che faceva un ritratto particolarmente fosco e negativo del governatore inglese Hudson Lowe, considerato capace di qualunque iniziativa contro lo sconfitto di Waterloo. Ma Hudson Lowe non doveva essere così cinico se, quando si recò a verificare di persona la morte dell’imperatore, dichiarò:” Ah Signori, è stato il più grande nemico delle’Inghilterra, ora giace qui.  Ma tutto gli è perdonato. Quando muore un uomo così grande, solo possiamo provare un grande dolore e un profondo rispetto”;

Charles de Montholon, che stato indicato nel testamento come uno dei principali beneficiari dell’eredità di Napoleone e quindi aveva interesse ad accelerarne la fine non potendo più di stare nella sperduta e insalubre isola di Sant’Elena? Appare poco probabile che un “bonapartista di cuore”, fedele tra i fedeli, che aveva accettato di accompagnare il suo idolo in una prigione a cielo aperto e che in seguito sarà condannato a 20 di prigione per aver aiutato Napoleone III, si sia macchiato di un crimine tanto odioso; 

Avvelenamento causale, dovuto alle bevande di cui Napoleone era ghiotto (come l’orzata) e agli effetti secondari delle medicine che prendeva in grandi quantità? Poco credibile. Gli effetti secondari non potevano essere così intensi da risultare fatali. 

Gli stessi medici, che avrebbero voluto alleviare i suoi terribili dolori  somministrandogli sostanze che inducono al vomito e sottoponendolo a clisteri giornalieri? Abbastanza inverosimile.

Ciascuna di queste teorie insomma può vantare elementi a suo favore per proporre la tesi del complotto attraverso ragionamenti plausibili e credibili. Tuttavia bisogna precisare che nessuna di queste tesi è riuscita ad affermarsi sulla base di circostanze storicamente provate. Permangono certo aspetti inquietanti che potrebbero far pensare alla morte di Napoleone come un crimine politico o d’interesse. 

Eppure la tesi dell’avvelenamento non può essere considerata scientificamente e storicamente valida. Uno studio realizzato nel 2007 da un gruppo di patologi americani, svizzeri e canadesi, pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Clinical Practice Gastroenterology and Hepatologyy”, ha infatti riesaminato tutte risultanze storiche sull’argomento, alla luce delle più recenti conoscenze mediche e strumentazioni scientifiche. La conclusione dello studio è che Napoleone è senza dubbio morto per un cancro allo stomaco, dovuto a un’infezione cronica da Heliobacter Pilory. La stessa malattia aveva del resto causato la morte del padre Carlo Maria e quindi, secondo i patologi, l’ereditarietà aveva certamente giocato un ruolo importante sullo stato di salute dell’ex imperatore.

Il cancro di Napoleone, in particolare, sarebbe stato in qualche modo attivato da un’ulcera del piloro. L’alimentazione dei soldati durante le lunghe campagne militari, ricca di cibi in salamoia e povera di frutti e legumi, avrebbe creato il terreno propizio allo sviluppo dell’ulcera. 

Se si studiano meglio i sintomi che manifestava Napoleone – osserva lo studio – essi in definitiva sembrano più compatibili col cancro che con l’avvelenamento. In particolare la colorazione gialla della pelle e l’inquietante dimagrimento. Negli ultimi sei mesi di vita il prigioniero di Sant’Elena aveva perso più di dieci chili. Quanto poi alla sorprendente conservazione del corpo, gli esperti hanno precisato che essa non è stata dovuta necessariamente all’arsenico. Ci sono stati casi di buona conservazione del corpo, anche in totale assenza dell’elemento arsenico, come, ad esempio, per Enrico IV.

E stata infine passata sotto la lente d’ingrandimento l’autopsia fatta dal dr Antommarchi, alla presenza di medici britannici. Le sue conclusioni, secondo lo studio, sono del tutto coerenti e concludenti. Se all’epoca, insomma, poco si sapeva sul cancro, i medici tuttavia erano ben in grado di riconoscerne i segni devastatori in un organismo. Nel caso di Napoleone i medici che avevano praticato o assistito all’autopsia erano stati unanimi, tutti avevano riconosciuto un cancro dello stomaco.

Ma l’arsenico contenuto nei capelli?

Intanto non si sa quale fosse il tasso normale di arsenico a Sant’Elena, dove è presente nell’acqua e nei prodotti della terra. E poi è da considerare che l’arsenico era comunque contenuto in molti prodotti e sostanze della vita quotidiana. Lo stagno, ad esempio, con cui si facevano i boccali, ne conteneva. Come ne contenevano i pigmenti della carta da parati, in speciale modo quella di colore “verde imperiale” che ricopriva tutti i muri dell’appartamento di Napoleone. Sappiamo inoltre che l’arsenico era presente anche in alcuni medicinali, come quello che serviva a combattere i parassiti o un liquore che veniva prescritto contro l’anoressia, principale sintomo del cancro allo stomaco.

Secondo la tesi del medico svedese, come abbiamo visto, non sarebbe stato solo l’arsenico a determinare la morte dell’imperatore, ma un mix aggiuntivo di antimonio, acido prussico e calomelano. Ma anche in questo caso si riscontrano alcune incongruenze scientifiche. Lo sciroppo d’orzata ricavato dalle mandorle amare contiene 0,3 grammi di acido prussico ogni 5 litri. Una dose minima quindi, troppo debole per produrre cianuro di mercurio, elemento tossico Al contrario la somministrazione massiccia di calomelano aveva accelerato l’azione diruttrice del cancro già in atto nell’organismo. 

Infine più di recente, nel 2008, il nostro Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) ha escluso che Napoleone possa essere stato avvelenato con l’arsenico. Da una ricerca effettuata su i suoi capelli a varie età della sua vita, risulta una sostanziale stabilità nei livelli di arsenico paragonabili del resto a quello dell’imperatrice Josephine e del figlio, Napoleone Francesco Giuseppe Carlo, l’Aiglon, il re di Roma.

No, Napoleone non è stato assassinato. Dobbiamo tornare quindi ai cari vecchi manuali di Storia della scuola media, dove si affermava che l’imperatore dei francesi era morto per cause naturali. Allora tanto rumore per nulla? Sembra proprio di sì. 

Non sempre conviene rivedere la Storia. 

Domenico Vecchioni

Domenico Vecchioni. Già Ambasciatore d'Italia, saggista e storico. Ha al suo attivo numerose biografie storico-politiche (tra cui "Evita Peron" e "Raul Castro") e studi sulla storia dello Spionaggio (tra cui "Storia degli agenti segreti. Dallo Spionaggio all'Intelligence" e "le 10 spie donna che hanno fatto la Storia").

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