L’Aeronautica Militare? Un’eredità del ventennio fascista. La fondazione della Regia Aeronautica costituì infatti uno dei primissimi atti del governo Mussolini, firmato solo cinque mesi dopo la Marcia su Roma. Il 28 marzo 1923 nacque l’“arma fascistissima”, alla quale il regime affidò molto del suo prestigio internazionale. L’idea piaceva a tutti: ai nazionalisti, che volevano un’Italia più forte e moderna; agli intellettuali come D’Annunzio e i futuristi, che nell’aeroplano vedevano il protagonista di una società spiccatamente dinamica; agli imperialisti, che chiedevano strumenti moderni per difendere e ampliare i possedimenti coloniali; agli industriali, che fin dai tempi della Grande Guerra avevano fatto dell’aviazione un affare lucroso.
Piaceva allo stesso Mussolini, che amava stare alla cloche, benché privo di un regolare brevetto di volo. Sulla scia degli idrovolanti guidati da Italo Balbo, il regime ottenne il suo massimo consenso all’estero, soprattutto in America, dove milioni di nostri connazionali sognavano di poter un giorno fare ritorno sugli apparecchi dell’Ala Littoria, la compagnia aerea nazionale. Gli aerei italiani ottennero molti primati, alcuni dei quali re sistono ancora oggi. Poi venne la guerra. E fu così che un mix letale di scelte errate, miopie strategiche, armamenti insufficienti e cattivo coordinamento con le altre armi posero la nostra aviazione in difficoltà, nonostante il valore indiscutibile dei suoi piloti.
Un valore ampiamente riscattato nel secondo dopoguerra e oggi riconosciuto in tutto il mondo.