“L’antisemitismo è il pane degli imbecilli”. A Lenin va dato il merito di aver fornito la migliore definizione dell’antisemitismo, fenomeno molto antico, millenario come millenario è il popolo di Israele.

Fenomeno a dir poco ancestrale, dunque, quanto fasullo. Nessuna delle teorie, nessuna giustificazione, dalla schiavitù di Babilonia alla Seconda Guerra Mondiale, ha infatti reale fondamento.
Se da un lato le ragioni dell’antisemitismo sono assolutamente infondate, dall’altro il sentimento di odio verso gli ebrei si è manifestato più volte nel corso dei millenni, fino a tempi recenti, e purtroppo molto più recenti della Shoah.
L’ultima volta che i nomi di una lista di ebrei è stata letta in tedesco e a voce alta fu ad Entebbe. Capitale dell’Uganda, stato africano all’epoca guidato dal dittatore Idi Amin “Dada”, nel 1976 atterra all’aeroporto un volo Air France dirottato da terroristi filo-palestinesi delle cellule rivoluzionarie tedesche (Revolutionäre Zellen).
Comunisti, dunque, cresciuti nella Germania post bellica, ben consapevoli degli orrori commessi dalla generazione precedente sotto il nazismo, eppure schierati contro Israele e, in quel contesto, autori di un’azione insana, violenta, criminale, antisemita fino in fondo.

Il dirottamento finirà male per i sequestratori, grazie all’intervento – a tratti spettacolare – dei reparti d’assalto del MOSSAD che liberano gli ostaggi e distruggono l’intera forza aerea ugandese. Resta tuttavia il gesto, commesso peraltro a pochi anni da un altro attentato, purtroppo andato a segno, contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1970, che fa rabbrividire.
Antisemitismo mascherato, dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il termine di comodo “antisionismo”. Di comodo perché, come noto, l’antisemitismo è ormai associato ad una determinata area politica, mentre l’antisionismo pretende di partire da basi diverse, non di odio razziale semmai di avversione ad una componente della politica israeliana (ed ebraica) aggressiva ed incompatibile con la democrazia.
E’ così che gli insulti lanciati contro i veterani della Brigata Ebraica il 25 aprile o le manifestazioni in sostegno della lotta palestinese con manifesto odio verso Israele sono essi stessi episodi, gravi, di odio contro gli ebrei, purtroppo minimizzati dall’opinione pubblica anche perché provenienti da aree “culturali” e politiche molto lontane dal nazismo.
Una croce uncinata che compare sul muro di una scuola o un insulto di matrice antisemita sembrano infatti essere più gravi di popoli che, con i proclami e non di rado con le azioni, minacciano la quotidianità di Israele, dei suoi abitanti e degli stessi ebrei che vivono dentro e fuori da Israele. Nonché dei loro sodali occidentali…
Certo, non si possono chiudere gli occhi di fronte a palesi provocazioni figlie di ignoranza e di stupidità: sei milioni di morti nei lager, esperimenti su cavie umane, torture ed omicidi perpetrati dai nazisti e dai loro alleati sono un crimine mostruoso che in alcun modo può essere apologizzato né minimizzato. Eppure l’attenzione sembra sempre più spesso soffermarsi su episodi isolati che non su questioni di maggiore rilievo culturale, sociale, geopolitico.

L’antisemitismo, insomma, non è morto ma solo mascherato e continua a sopravvivere a soffiare sul fuoco dell’odio. Difficile d’altro canto capire quale sia la coerenza di chi, il 27 gennaio, celebra la memoria dei milioni di morti dell’Olocausto mentre il resto dell’anno contesta, non sempre civilmente, Israele.
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