Capelli e barba nel Medioevo: come si portavano

In passato la foggia della capigliatura e l’uso o meno della barba e dei baffi variava a seconda del tempo e dei luoghi in maniera consistente. Se i barbari amavano le chiome fluenti (cosa confermata, nel Nord Europa, dai ritrovamenti di individui sacrificati e gettati nelle torbiere, che conservano capelli ancora folti e morbidi) i Romani, viceversa, erano per capelli corti e barba rasata: solo alcuni imperatori un po’ eccentrici (come Giuliano l’Apostata) o “filosofi” (come Adriano e Marco Aurelio) non si radevano.

I Germani (e i loro discendenti medievali) consideravano le chiome attributo di virilità, forza e soprattutto libertà: i servi e gli schiavi, infatti, avevano i capelli corti. Per le donne, invece, i capelli lunghi erano sempre sinonimo di bellezza e fertilità. Alla chioma (e alla barba) era legata una complessa simbologia. I re merovingi (che governarono il regno franco tra il V e l’VIII secolo, prima dell’avvento dei Pipinidi) si autodefinivano reges criniti, re capelluti, facendo dipendere il loro stesso status di sovrani dal fatto di portare le chiome lunghe. Lo storico bizantino Agazia (532-582 circa) sostiene che non venissero mai rasati sin dall’infanzia, e che viceversa ai loro sudditi era imposto di tenerle corte a rimarcare la differenza.

Capelli e barba nel Medioevo: le lunghe chiome accusate di favorire l’omosessualità

Dopo la fine della dinastia e l’avvento al potere dei Pipinidi e poi dei Carolingi, si impose viceversa l’uso dei capelli corti, che ebbe come principale alleato la Chiesa. Le ragioni erano di ordine morale: accusati di favorire l’omosessualità e creare confusione tra i sessi (parole del monaco Guglielmo di Malmesbury), i capelli lunghi furono banditi dal concilio di Rouen del 1096. Per i chierici era obbligatoria la tonsura, che variava a seconda dei contesti. Tuttavia tali prescrizioni non furono osservate sempre da tutti. Eremiti, asceti e monaci rigoristi portavano la barba lunga, così come i pellegrini. I re invece preferivano seguire il modello degli antichi romani e sbarbarsi.

In controtendenza l’imperatore Federico Barbarossa (1122-1190) adottò la barba partecipando alla terza crociata e proibì per legge di tirare o strappare i capelli e i peli. Anni dopo, i lombardi l’avrebbero preso di mira coniando sprezzantemente proprio il soprannome di Barbarossa, che alludeva a Nerone, alias Lucio Domizio Enobarbo (in latino Aenobarbus vuol dire barba di rame). La sua sinistra fama e la rarità del pigmento donarono a tutti i “pel di carota” il sospetto di crudeltà, tradimento e vicinanza al demonio.

Elena Percivaldi

Storica medievista, saggista e giornalista professionista, collabora con le principali riviste di alta divulgazione del settore storico: “Medioevo”, “BBC History” e “Storie di Guerre e Guerrieri”, “Conoscere la Storia”, “Civiltà Romana”. All'attività di relatrice in incontri, conferenze e convegni in tutta Italia affianca la curatela di mostre storico-archeologiche e di eventi storico-rievocativi. Fa parte di vari comitati scientifici e ha scritto una ventina di libri, alcuni dei quali tradotti anche all'estero.

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