Da vicesceriffo a sicario: la storia di Tom Horn

Il 20 novembre 1903, un corpo penzolava dalla forca del carcere di Cheyenne, nello Stato del Wyoming. Era il cadavere di Tom Horn, che il giorno dopo avrebbe compiuto 43 anni. Nato nel Missouri, quinto di dodici fratelli, dopo un’infanzia passata nella fattoria di famiglia, a 16 anni aveva deciso di arruolarsi come esploratore nell’Esercito. Con le Giacche Blu combatté le guerre indiane e, nel 1886, partecipò a una spedizione partita alla caccia di Geronimo, l’ultimo grande capo apache. In quell’occasione il suo accampamento venne attaccato da una milizia messicana e lui fu ferito al braccio. Questo, però, non gli impedì poco dopo di uccidere in duello il suo primo uomo, un tenente dell’Esercito messicano.

Dismessa la divisa militare, Horn si spostò in Arizona, dove partecipò alla Guerra di Pleasant Valley, una faida fra allevatori che provocò numerosi morti. Da che parte stesse non è mai stato chiarito: probabilmente da entrambe, secondo la miglior tradizione dei pistoleri. Lavorò poi per un certo periodo come vicesceriffo. La sua abilità con le armi non passò inosservata alla Pinkerton National Detective Agency, la più importante agenzia privata di sicurezza americana, che lo assunse come agente. Svolse diverse indagini in Colorado, dimostrandosi un segugio quasi infallibile. Lasciata l’Agenzia, lavorò come agente privato per diversi allevatori, venendo coinvolto nell’uccisione di diversi uomini, fra cui Nate Champion e Nick Ray nel 1892, William Lewis e Fred Powell nel 1895.

L’anno successivo, un allevatore che aveva con sé una grossa somma di denaro fu visto per l’ultima volta in compagnia di Tom Horn, prima di sparire nel nulla: era iniziata la sua carriera di killer prezzolato. Nel 1900 uccise almeno quattro uomini, tutti coinvolti in rapine e furti, e la Pinkerton lo ingaggiò nuovamente, stavolta come sicario a contratto. Nel 1901 fu accusato dell’omicidio di Willie Nickell, figlio quattordicenne di un ricco allevatore. Le prove contro di lui erano consistenti, per lo più basate sulla testimonianza di un certo Joe Leforas, che aveva carpito a Horn una sorta di confessione mentre il pistolero era completamente ubriaco.

Un amico del padre del ragazzo, Jim Miller, sembrava più sospettabile, ma alla fine la giuria si pronunciò contro Horn, condannandolo all’impiccagione. A nulla valse il ricorso dei suoi avvocati alla Corte Suprema

Michela Lampronti

Classe 1992, Laureata in Scienze dei Beni culturali con indirizzo storico-artistico e archeologico, Laurea magistrale in Storia e Critica dell’Arte, presso l'Università degli Studi di Milano, è specializzata in Storia dell’Arte Antica. Esperta in comunicazione e valorizzazione culturale, è attualmente traduttrice ed Editor professionista.

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