L’Oceania è spesso sentita come un continente singolare poiché costituito essenzialmente da isole, compresa la grande isola australiana (mainland Australia) e poiché tradizionalmente e geograficamente lontano dalle vicissitudini della storia moderna e contemporanea che hanno coinvolto Europa, Americhe e Asia (eccezion fatta per i fatti della Guerra del Pacifico).
La scoperta delle prime isole dell’Oceania risale alla prima metà del secolo XVI, quando il portoghese Antonio d’Abreu avvistò la Nuova Guinea nel 1511 (mentre il primo a mettervi piede fu con ogni probabilità Jorge de Meneses fra il 1526 ed il 1527). Dieci anni più tardi, nel 1521 Fernando Magellano scoprì le isole dei Ladroni (ribattezzate Marianne nel 1668) poi il campo venne lasciato agli esploratori spagnoli.
I primi europei a mettere piede sul suolo dell’attuale stato australiano furono con ogni probabilità l’olandese Willem Janszoon all’inizio del Seicento, Dirk Hartog nel 1616 e poi di nuovo l’olandese Abel Tasman, che nel pieno del ciclo di accumulazione del capitale diretto dalle Province Unite, tra il 1635 e il 1645, esplorò gran parte dell’arcipelago australe del sud, dando il nome all’attuale isola di Tasmania.
L’Australia, oggetto di alcune disastrose spedizioni organizzate e pianificate nel 1699 dalla Società Geografica Britannica venne espunta dalle mire coloniali dell’Impero per almeno settanta anni. La colonizzazione del nuovissimo continente fu essenzialmente messa da parte dai britannici sino al 1786, quando prese corpo il progetto di costituire in questo territorio una colonia penale per i detenuti più violenti e pericolosi.
L’organica colonizzazione dell’isola maggiore del continente avvenne quindi a partire dalla fine del Settecento: in un periodo in cui gli olandesi delle Province Unite lasciavano man mano il passo al futuro grande conduttore del capitalismo internazionale: la Gran Bretagna, secondo un’interpretazione del grande storico di origine italiana Giovanni Arrighi.
In un certo senso il motore procedimento originario della colonizzazione australiana fu proprio la necessità di accumulazione britannica sorta in virtù del declino olandese (che si sarebbe concretizzato con le guerre napoleoniche e la successiva Restaurazione) e mentre le Province Unite si concentravano su risorse territoriali minori ma ricche di merce (con una strategia di accumulazione dei beni da far fruttare con operazione finanziarie) l’Impero britannico ricercava il controllo di territori anche per utilizzarli come serbatoi di servizi esternalizzati.
L’Australia passò quindi sotto il controllo della corona britannica e vi rimase formalmente sino al 1986 (pur se ad oggi la Regina Elisabetta II è formalmente il suo capo di Stato). La Gran Bretagna s’impossessò anche della Nuova Zelanda, delle Figi e della parte sud della Nuova Guinea.
La Spagna si impadronì delle isole Marianne, delle Caroline e delle Palau (poi cedute alla Germania). La Germania si era già impossessata della parte nord-est della Nuova Guinea, nell’arcipelago di Bismarck, di Buka e Bougainville, delle Marshall, di Nauru e delle Samoa Occidentali quando ottenne il lascito spagnolo.
La Francia dal canto suo ottenne le isole della Società e poi la Nuova Caledonia. Il Cile acquisì le isole di Pasqua e la minuscola e disabitata Sala y Gomez. Gli Stati Uniti si impossessarono delle Hawaii di alcune isole Samoa e di Guam. Il Giappone, grande avversario degli USA nella Guerra del Pacifico colonizzò le isole Ogasawara e le isole Iô.
Col tracollo tedesco a seguito della Prima guerra mondiale i possedimenti germanici nel continente furono affidati a Australia, Giappone, Gran Bretagna e Nuova Zelanda.
A differenza di altre strategie di colonizzazione, come accennato sopra, la colonizzazione delle isole dell’Oceania fu una questione non tanto di sfruttamento delle risorse presenti su esse quanto di possesso al fine dello sfruttamento delle aree marittime pertinenti.
Il movimento di decolonizzazione di quest’area ha significato una spinta concomitante al progresso politico, con il palesarsi di identità nazionali in organismi statali e la contemporanea creazione di organizzazioni sovrannazionali non divergenti ma concorrenti a progresso e sviluppo (e difesa).
Il pacifico e lineare cammino dell’indipendenza e dell’emancipazione dei popoli di queste isole oceaniche ha potuto distendersi in tal modo attraverso il secolo scorso e quello presente grazie al fatto che, cancellata per sempre la volontà di potenza giapponese (vittima del tragico assenso alla tragedia nazista), l’Oceania è rimasta (quantomeno sino al primo decennio dei Duemila) priva di qualsiasi altra influenza geopolitica che non fosse quella degli Stati Uniti (e delle potenze occidentali).
Le organizzazioni internazionali principali andate a formarsi nello scorso secolo in Oceania sono state: la South Pacific Economic Development Commission, l’Accordo di Canberra fra Australia e Nuova Zelanda del 1944, il patto Stati Uniti-Nuova Zelanda-Australia per la sicurezza del Pacifico del sud (ANZUS), che sarebbe stato destinato a un solo coinvolgimento diretto fuori dall’area oceanica, in Malaysia.
L’episodio più interessante dell’emancipazione del continente è forse stato quello della Papua Nuova Guinea (insistente sull’isola della Nuova Guinea congiuntamente all’Indonesia e su altre numerose isole come la Nuova Bretagna e Bougainville) che venne spartita alternativamente o contemporaneamente fra colonizzatori olandesi, britannici e tedeschi (cui successero gli australiani).
La scoperta, nel 1920, di ingenti risorse aurifere nella parte ad est, nel bacino del fiume Bulolo, portò ad una corsa allo sfruttamento contemporanea ad un sensibile sviluppo economico.
Un’altra interessante scoperta avvenne negli anni Trenta del secolo scorso: l’insospettata presenza di abitanti nelle impervie regioni interne venne documentata da alcuni esploratori come l’australiano Mick Leahy ed il facoltoso americano Richard Archbold.
Le neo-conosciute tribù se erano destinate a dare spinte decisive agli studi sui meccanismi e le eccezioni dell’antropologia sarebbero state anche serbatoio per innumerevoli e immaginevoli leggende moderne innestatesi nella cultura di massa occidentale.
Testimonianza di questa deviazione della cultura popolare sono i numerosi film indipendenti su fantasiose pratiche tribali che sarebbero avvenute nelle giungle dell’isola, come il capolavoro di Umberto Lenzi Mangiati vivi e Robinson Crusoe di Rod Hardy e George Miller.
La Papua Nuova Guinea venne coinvolta nel Secondo conflitto mondiale con l’invasione giapponese e seppe resistere, a fianco delle forze australiane, anche grazie alla conoscenza del difficile e impervio territorio (coperte da giungle nella parte interna).
Al termine del conflitto l’Australia (formalmente in possesso del territorio della Papua Nuova Guinea) vide crescere l’economia del paese anche con la coltivazione del caffè e nascere una embrionale organizzazione interna delle risorse.
Canberra volle mantenere sicuramente il controllo della colonia per sfruttare al meglio la manodopera a costo zero degli abitanti delle giungle interne (le cosiddette Highlands) ma allo stesso tempo seppe aiutare, attraverso il sostegno della struttura governativa regionale, dell’economia e la formazione di una élite il cammino per l’indipendenza concretizzatosi nel 1975.
Il cammino per lo sviluppo del paese è sempre stato sostenuto dalla ex-colonia ma ha avuto alti e bassi a causa di dissapori fra le varie regioni.
(Fonte immagine di sfondo: foto di RobertDychto da Pixabay)