“Il Velino e il Nera producono entrambi eccellenti gamberi, ottimi trotti (trote, nda), tinche, anguille, lamprede e squali” si legge in un passo del Diario di Erudizione Storico-Ecclesiastica da San Pietro ai giorni nostri dello studioso Cavaliere Gaetano Moroni, secondo aiutante di Camera di Sua Santità Papa Pio IX ed edito da una tipografia veneziana nel 1857.
Non è dato sapere come, quando ma soprattutto chi sia riuscito ad imbattersi in squali nel Nera, dato che l’unico pescecane visibile in Valnerina è ciò che resta di parte delle scenografie del Pinocchio di Benigni.

Una svista dunque? No, perché a metà Ottocento si sa bene cosa sia uno squalo: circa cento anni prima, infatti, il naturalista Linnaeus ne ha iniziato studio e catalogazione scientifica; inoltre, buona parte delle Americhe, dell’Asia e dell’Africa di quel periodo sono sotto dominio coloniale europeo e i resoconti di avventurieri e scienziati riportano spesso litografie dedicate a luoghi esotici popolati da creature terribili.
E’ probabile che Moroni conoscesse il passato dei due fiumi la cui storia una è molto legata al mare: in fondo è a Stifone che, fra rovi e progetti di riqualificazione mai iniziati, affiorano tutt’ora dall’erba i resti dell’antico cantiere navale romano dove venivano costruite le galee per quella flotta che dopo la Seconda Guerra Punica divenne padrona del Mediterraneo.
E in effetti, proprio per l’orografia del territorio (una gola) il cantiere narnese assumeva un carattere strategico: lontano dal mare e dal nemico, gli scafi lì varati potevano raggiungere il Tirreno scivolando lungo il Nera e il Tevere. Perizia tecnica recuperata millenni dopo dagli specialisti delle Acciaierie per corazze e batterie destinate alla Regia Marina poi trasferite verso Civitavecchia su una linea ferroviaria appositamente creata per alimentare lo sforzo bellico.
Che Nera e Velino siano navigabili lo insegnano, poi, anche i saraceni i quali nel IX Secolo risalirono il Tevere per saccheggiare Roma e, più a nord, ne navigarono gli affluenti per saccheggiare i borghi interni. Va bene, ma gli squali?
Tempo fa alcuni diportisti segnalarono alla Guardia Costiera una pinna triangolare affiorante dalle calme acque del canale che raggiunge il porto di Fiumicino. Forse, le acque salmastre in prossimità della foce possono aver attirato qualche animale in cerca di cibo.
Non un fatto eccezionale considerando che alcune specie di squali sono capaci di resistere a brusche variazioni della salinità: il Lago Nicaragua, ad esempio, ospita una grande comunità di squali leuca (o squalo dello Zambesi), pesci affascinanti ma molto pericolosi per l’uomo e responsabili di attacchi nei fiumi dell’America e dell’Africa in punti distanti 2-3000 chilometri dall’Oceano. In Iran, nel 1941, si verificò un attacco letale a 250 km dalla costa; nel 1916, tre dei cinque attacchi del Jersey Shore che ispirarono Peter Benchley per il suo Lo Squalo avvennero 25 miglia nell’entroterra del Massachussets.
Nel Mediterraneo gli squali non sono mai mancati e Rovigno, Salento e Malta fanno da sfondo a catture di squali bianchi da primato; fra i pesci cartilaginei di taglia minore al “Grande Bianco” c’è lo squalo grigio, diffuso nel Tirreno e in Adriatico e capace di resistere all’abbassamento della salinità. Frequentando fondali bassi e acque salmastre, dotato di una grande e ben visibile pinna dorsale, non è escluso che l’animale possa aver risalito il corso del Tevere in un secolo in cui urbanizzazione e industrializzazione non avevano ancora distrutto interi habitat naturali, attirando l’attenzione di Moroni e di altri suoi colleghi.
Altro candidato papabile per interpretare le parole del Cavalier Moroni è lo storione, diffusissimo nelle acque tiberine fino agli inizi del Novecento e particolarmente apprezzato dai palati capitolini. La forma affusolata, la coda, la piccola pinna dorsale, il suo nuotare in mare e in acqua dolce nonché le dimensioni oltre il metro di lunghezza possono aver indotto in confusione l’enciclopedista convinto di avere di fronte un pescecane. Da quanto se ne sa oggi, però, non vi sono prove di avvistamenti di squali nel Velino e nel Nera o, forse, tali animali mai hanno nuotato nelle acque umbre e laziali.
Una fortuna, ma non per chi vive nei pressi dei corsi d’acqua: inquinamento, fobie hollywoodiane e caccia avrebbero infatti spinto gli squali “nerini” sull’orlo dell’estinzione, come d’altronde accaduto con i lupi tornati a popolare gli Appennini solo di recente, dopo decenni di bracconaggio e di odio consumato a colpi di fucile.