
Golda Meir, donna simbolo di Israele, “la genitrice del paese”, è stata una delle massime protagoniste politiche del XX secolo. Ha contribuito, insieme a Ben Gurion e Moshe Dayan, alla nascita e al consolidamento di Israele, nuovo Stato, diventato sicuro rifugio per tutti gli ebrei del mondo. Ha lasciato un’impronta indelebile sui cammini della Storia.
Golda Mabovicth, questo è il suo vero nome, è di origine ucraina, nata nel 1898 nel ghetto di Kiev, nel cuore dell’Impero russo da una famiglia di ebrei tradizionalisti, anche se non troppo praticanti. Fin da bambina rimane profondamente impressionata e sconvolta dagli episodi di antisemitismo che caratterizzano la società russa in quel periodo. Le dolorose esperienze che vive in prima persona formeranno il suo fermo carattere e influenzeranno le sue scelte politiche, tese a dare infine agli ebrei un posto nella terra promessa, dove sentirsi finalmente in sicurezza e porre fine alla diaspora che dura da tempo immemorabile. “L’anno prossimo a Gerusalemme!” per Golda non sarà solo un augurio un po’ romantico e velato di malinconia da scambiarsi in occasione della festa di Pesach, sarà piuttosto l’obiettivo finale di tutta la sua azione politica.
Il padre nel 1903 decide di fuggire i ricorrenti massacri e l’insopportabile miseria in cui è caduta la sua famiglia, emigrando negli Stati Uniti. Si stabilisce a Milwaukee nel Wisconsin, dove apre una piccola drogheria e riesce tre anni dopo a farsi raggiungere da tutta la famiglia. Ragazza di carattere, Golda rifiuta di sposare la persona proposta dai genitori e, per protesta, se ne va a vivere a Denver presso la sorella maggiore Sheyna. Qui grazie anche all’attività di Sheyna, organizzatrice di eventi e incontri culturali, entra in contatto con il mondo letterario, scopre il femminismo e si entusiasma per la causa sionista che diventerà la sua ragione di vita. Scriverà nelle sue memorie: “Denver fu un vero punto di svolta, perché lì ebbe inizio la mia vera istruzione”. A 19 anni si sposa con un modesto imbianchino, Morrison Meyerson, dal quale si fa promettere che appena possibile sarebbero emigrati in Palestina. Negli anni dell’Università si dimostra una convinta militante sionista: prende parte a dibattiti, partecipa a marce di protesta e diventa membro molto attivo dell’organizzazione Poale Sion. Nel 1917 ottiene la cittadinanza americana. Ne è felice e soddisfatta. Ma il suo sguardo e il suo cuore sono sempre rivolti verso la Terra Promessa. Tanto più che la dichiarazione Balfour, fatta nel novembre di quell’anno, annuncia il sostegno della Gran Bretagna alla costituzione di una national home (un focolare nazionale) per gli ebrei in Palestina. Non è ancora ovviamente la promessa di uno Stato indipendente, ma è già un primo, importante passo. In ogni caso è un incoraggiamento all’emigrazione verso la terra promessa: l’anno prossimo a Gerusalemme!
Così nel 1921, con il marito e la sorella, Golda emigra in Palestina.
Affronta quindi senza stati d’animo la durissima vita dei kibbutz (originale formula associativa di lavoratori basata sulla proprietà comune e regole solidaristiche), coltivando la terra, raccogliendo la frutta e lavorando in cucina. Non si tira mai indietro, nemmeno davanti ai compiti più umili. Nello stesso tempo tuttavia la sua natura di leader si manifesta con sempre maggiore chiarezza. Prende parte alle riunioni comunitarie, si esprime con chiarezza e competenza, viene apprezzata tanto da essere scelta dal suo kibbutz come rappresentante presso il sindacato Histadrut, embrione del futuro partito laburista. Nel 1924, a causa della malaria che colpisce il marito, si trasferisce a Tel Aviv. Successivamente, migliorate le condizioni del marito, Golda si stabilisce a Gerusalemme. Finalmente è arrivata nel cuore della terra sognata, che però è ancora sotto tutela straniera. Intanto prosegue con successo la sua carriera politica e si succedono gli incarichi, sempre più importanti, che le vengono conferiti.
Quando Golda con i suoi due figli nel 1928 deve tornare a Tel Aviv per assumere la carica di Segretario Generale del sindacato Unione Donne Lavoratrici, il marito non l’accompagnerà, probabilmente perché non più in grado di seguire intellettualmente Golda nel suo crescente impegno politico e perché ha capito che una donna animata da una così forte passione politica non potrà mai condurre una vita familiare normale, “borghese”. Golda, ha in effetti, sposato la causa sionista e l’ideale socialista. Una separazione di fatto, cui peraltro non seguirà mai il divorzio.
Golda intanto guadagna sempre più influenza e prestigio nell’ambito dell’Agenzia Ebraica (organismo di rappresentanza degli ebrei di Palestina) e entra a far parte del governo ombra che viene costituto nell’attesa della creazione dello Stato. Nel 1930 è tra i fondatori del partito dei lavoratori Mapai (che confluirà in seguito nel partito laburista) e nel 1938 è nominata “Osservatore Ebreo della Palestina” alla conferenza di Evian, dedicata all’annoso problema di individuare il luogo dove gli ebrei perseguitati potranno trovare accoglienza e insediarsi stabilmente. E’ già diventata uno dei principali protagonisti della lotta sionista, organizzando e favorendo l’immigrazione clandestina dei transfughi ebrei in provenienza dall’Europa e mantenendo contatti con l’haganah, l’organizzazione segreta paramilitare nata per proteggere i kibbutz e gli ebrei dagli attacchi arabi. Nel 1946 è nominata a capo del Dipartimento politico dell’Agenzia Ebraica: un ruolo chiave che la mette nelle migliori condizioni per far avanzare la causa sionista.
Dopo il rifiuto da parte degli arabi del piano di spartizione varato dall’ONU, diventa sempre più probabile un attacco dei paesi arabi al nascituro Stato d’Israele. Ora per difendersi in una guerra servono armi e servono di conseguenza soldi per comprarle. Golda allora, nota per i suoi discorsi appassionati, la sua capacità persuasiva e forte del ruolo politico che oramai svolge in Palestina, si reca negli Stati Uniti in una memorabile tournée per la raccolta di fondi a sostegno della causa sionista. E deve essere stata molto convincente se, dopo appena sei settimane, ritorna in Palestina con 50 milioni di dollari!
Intanto la minaccia dei cinque Stati della lega araba si precisa: sono all’evidenza intenzionati a impedire la nascita d’Israele.
Ben Gurion allora gioca d’anticipo. Il 13 maggio 1948 riunisce immediatamente a Tel Aviv il governo ombra, che all’unanimità decide di proclamare la nascita dello Stato di Israele, conformemente alle risoluzioni dell’ONU e consapevole delle reazioni che ne scaturiranno. L’annuncio sarà fatto il giorno dopo, 14 maggio, nel pomeriggio, otto ore prima della scadenza del mandato britannico prevista alla mezzanotte del 15. Le prospettive politiche e militari appaiono imprevedibili. Ma di due cose gli ebrei sono certi: la prima è che i britannici se ne vanno; la seconda è che gli arabi attaccheranno appena verrà fatto l’annuncio della creazione di Israele. I seicento cinquanta mila ebrei presenti in Palestina sono chiamati a far fronte all’assalto concentrico di cinque eserciti!
Golda Meir è pregata, per la sua sicurezza personale, di rientrare immediatamente a Gerusalemme e di rimanervi per tutta la durata del conflitto. Golda si ritrova così a bordo del piccolo piper-cub che dopo il decollo, ha però seri problemi al motore. Il pilota fa presente di non poter proseguire e deve assolutamente tornare indietro. Così il caso o il destino, correggendo una decisione sbagliata, permetteranno a Golda di assistere personalmente alla cerimonia della solenne dichiarazione che concretizza il suo sogno di sempre. Sarebbe stato, in effetti, ingiusto se “la madre d’Israele” non avesse potuto assistere alla nascita della sua creatura politica.
Alle 4 del pomeriggio, nei saloni della biblioteca di Tel Aviv, Ben Gurion, attorniato da tutti i membri del governo provvisorio annuncia la nascita del nuovo Stato! Gli ebrei hanno finalmente la loro patria nazionale. Tra le persone che ne firmano l’atto costitutivo, ci sono due donne. Una è Golda Meir che, malgrado il suo forte carattere, non trattiene lacrime di commozione. Anzi comincia a piangere a dirotto, senza potersi trattenere, quando Ben Gurion dichiara: “Lo Stato di Israele sarà aperto all’immigrazione degli ebrei da tutti i paesi dove si sono dispersi ”. E’ questa in realtà la ragion d’essere del nuovo Stato e lo scopo della vita della Signora Meir: l’anno prossimo a Gerusalemme! Ma è precisamente questo che mette in allarme gli arabi che temono uno sconvolgimento degli equilibri etnici nella regione ed è precisamente questo che i britannici volevano evitare. Ma la Storia è ormai in movimento e niente potrà fermarla. All’indomani della dichiarazione d’indipendenza scatta l’attacco della lega araba.
Gli Stati Uniti e l’URSS, per diversi motivi, riconoscono immediatamente, de facto, Israele insieme al piccolo Guatemala. E’ già un primo passo, ma non è ancora un certificato di nascita in piena regola. Occorrerà insomma vincere la guerra di “secessione”. Una guerra che durerà sei settimane e si concluderà con la vittoria di Israele che si conquista così il suo diritto all’esistenza. Una vittoria dovuta anche al lavoro incessante di Golda per acquisire armi e munizioni per i combattenti ebrei, fin dai tempi dell’haganah, l’esercito segreto. Armi e munizioni acquistate principalmente nei paesi dell’Europa orientale le cui opinioni pubbliche mai sapranno di aver fornito un aiuto determinante agli ebrei di Palestina. D’ora in avanti la storia del paese si ritroverà sempre più intrecciata con quella di una donna eccezionale e carismatica, totalmente dedita alla costruzione e alla istituzionalizzazione del nuovo Stato. Golda sarà subito nominata Ambasciatore d’Israele in Urss, nella Russia in cui è nata e dove ha vissuto durante la sua infanzia i drammatici pogrom zaristi.
Con questa decisione è probabile Ben Gurion abbia voluto lanciare un segnale di gratitudine al paese che aveva sostenuto la nascita del nuovo Stato e lo aveva appoggiato nella guerra scatenata subito dopo la dichiarazione d’indipendenza. Golda, dal canto suo, avrà molto gradito la nomina nella prospettiva di stabilire fruttuosi contatti con la comunità ebraica di Russia. Ma non era fatta per una carriera al di fuori del paese.
In Unione Sovietica Golda rimarrà molto poco, solo alcuni mesi. Anche perché i suoi incoraggiamenti agli ebrei russi di emigrare nella nuova terra promessa cominciavano a infastidire le autorità di Mosca…
Nel 1949 rientra dunque in patria ed è eletta alla Knesset, il parlamento israeliano. Poco dopo viene chiamata a far parte del governo Bel Gurion in qualità di Ministro del Lavoro, assumendo la responsabilità di un dicastero davvero strategico in quegli anni. Proprio per questo motivo molti non vedono di buon occhio la nomina di una donna… Ma Golda metterà presto a tacere i suoi critici: compirà un lavoro tremendamente efficace per risolvere i problemi di sicurezza sociale dei nuovi coloni israeliani, in difficoltà per il problema delle case e dei posti di lavoro.
Dopo l’eccellente prova data al Ministero del Lavoro, nel 1956 è nominata Ministro degli Esteri. E’ a quel momento che Golda Meyerson diventa Golda Meir in quanto Ben Gurion aveva chiesto a tutti i funzionari pubblici di “ebraicizzare” il loro nome. Così Meyerson diventa Meir, che in ebraico vuol dire “illuminare”. Il suo volto diventa celebre nel mondo. La sua politica “illumina” la strada di Israele. Sempre fiera e indomabile, diventa una figura di riferimento sul piano internazionale. Golda sorprende continuamente e spiazza i suoi interlocutori. Una donna che somiglia a una contadina, ma che si siede senza alcun imbarazzo accanto ai grandi del mondo con la sua borsetta nera sulla gambe, i suoi vestiti di nonna tranquilla e la sua gamba che trascina a causa di una brutta flebite. Ha forse l’aspetto dimesso, ma è capace di difendere le sue posizioni contro chiunque, senza arretrare di un centimetro perché è assolutamente convinta di difendere una causa giusta.
Anni molto difficili per il paese. Nel 1956, come Ministro degli Esteri, Golda si trova a dover affrontare la crisi di Suez, quando l’Egitto nazionalizza il Canale e, insieme a Siria e Giordania, tenta di indebolire e destabilizzare Israele. Nonostante le vittorie militari conseguite sul campo, Israele, per eminenti ragioni politiche, dovrà restituire i territori che aveva guadagnato nel conflitto. Territori peraltro che undici anni dopo, nella Guerra dei sei giorni (1967), Tel Aviv si riprenderà inasprendo ulteriormente il conflitto con gli arabi.
Costantemente protagonista della vita politica del paese, anche come membro della Knesset e Segretario generale del partito Mapai, Golda fa stato di posizioni assai intransigenti tendenti all’obiettivo finale di creare uno Stato ebraico forte, libero e vincitore, condizione indispensabile, nelle sue vedute, per una possibile pace nella regione. La Meir in realtà non ha mai creduto indispensabile ricercare un compromesso con i palestinesi. Al riguardo le si attribuisce questa emblematica frase rivolta ai palestinesi: “potremo senza dubbio un giorno perdonarvi di aver ucciso i nostri bambini. Ma ci sarà molto più difficile perdonarvi di averci costretto ad ammazzare i vostri. La pace arriverà quando gli arabi ameranno i loro bambini più di quanto ci odino.”
Nel 1965, a 67 anni, si ritira dalla politica, stanca e malata. Tre anni prima le hanno diagnosticato un linfoma. Ha già dato tanto per il suo paese. Ma non sospetta che dovrà ancora dare! A settant’anni è richiamata a ricoprire la carica di Primo Ministro in un’epoca drammatica per il suo paese e lei sembra la sola persona in grado di guidare il paese con mano ferma e visione lungimirante. La prima donna in Israele a capo del governo! Malgrado il suo preoccupante stato di salute, ancora una volta non si tira indietro. La rinuncia non è nel suo carattere. Il suo mandato durerà cinque anni e conoscerà durissime prove.
Durante le olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, un commando palestinese di Settembre Nero prende in ostaggio la delegazione degli atleti israeliani. I palestinesi chiedono in cambio la liberazione di alcuni detenuti considerati “politici”. Ma Golda mantiene senza tentennamenti la sua linea di fermezza e definitiva: nessuna trattativa con i terroristi! Se lo facesse, creerebbe un precedente suscettibile di originare situazioni non più controllabili. La conclusione dell’episodio sarà tragica: tutti gli 11 atleti israeliani saranno ammazzati, due al momento dell’irruzione dei terroristi e nove nel corso di un fallimentare blitz tentato dalla polizia tedesca. Anche diversi terroristi perderanno la vita e i superstiti saranno arrestati. Ma non è certo abbastanza per placare l’ira di Tel Aviv. La vendetta israeliana arriverà puntuale e se ne incaricherà il Mossad, il temibile servizio segreto di Tel Aviv, con l’operazione “La collera di Dio”. Tutti coloro che in un modo o nell’altro avevano partecipato all’organizzazione del sequestro di Monaco saranno successivamente individuati ed eliminati. Chi ha dato la “licenza di uccidere” agli agenti del Mossad? Golda Meir!
L’ultima crisi, la più angosciosa, che dovrà gestire sarà la guerra del Kippour del 1973, quando, secondo le sue stesse parole “…il disastro fu evitato per poco…” Cioè Israele rischierà di sparire dalla carta geografica. Egitto e Siria infatti attaccheranno all’improvviso, quasi sorprendendo Tel Aviv a causa di un cattivo coordinamento tra i suoi servizi segreti, che non si erano mostrati all’altezza della situazione. Israele però – grazie anche alla guida eccezionale di Golda – si riprenderà in tempo e infliggerà una dura sconfitta ai paesi attaccanti. Ma le forti polemiche scatenate sull insufficiente capacità di prevedere la minaccia, il pericolo mortale evitato solo di giustezza, le accuse reciproche avanzate tra servizi segreti e dirigenza politica, spingono Golda Meir a dare le dimissioni nel giungo del 1974. Data che segna la sua definitiva uscita dalla scena politica del paese. Dimissioni per la verità dal sapore amaro, visto che una commissione d’inchiesta appositamente costituita escluderà ogni responsabilità della vecchia e indomita signora.
Golda dedicherà gli ultimi anni della sua vita alla redazione di un libro di memorie, scritto con grande verve e puntuale documentazione. Potrà inoltre finalmente dedicarsi a quegli affetti familiari, di madre e di nonna, che le sue altissime responsabilità politiche non le avevano consentito di sviluppare. Anni passati tra nostalgia e rimpianto, consapevole di aver dato tanto al paese, ma di aver perso qualcosa sul piano familiare “Quando una donna non vuole solo partorire e allevare i figli e vuole essere qualcuno…si ritrova in una situazione dura da sopportare…Lo so per esperienza personale. Sei al lavoro e pensi ai figli che hai lasciato! Se sei a casa pensi al lavoro che non stai facendo! Si scatena una lotta dentro di te che finisce per spezzarti il cuore” . Un dilemma e una sofferenza cui molte madri ancora oggi sono confrontate.
Nell’autunno del 1978 viene ricoverata nell’ospedale Hadassan di Gerusalemme, dove muore all’età di 80 anni dopo aver lottato per un decennio contro la leucemia.
Scompare una donna-simbolo, una donna di cui nessuno, nemmeno i suoi detrattori che pure non furono pochi, potrebbe negare la passione, la determinatezza, l’impegno e l’assolta dedizione messi al servizio di un’idea, di un ideale, di una fede: l’anno prossimo a Gerusalemme!
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