“Ad Asclepio, dio sommo, salvatore e benefattore. Salvato con le tue mani da un tumore alla milza, della quale ecco il modello d’argento, in segno di riconoscenza. Neochares Julianus, liberto imperiale“. Se sostituissimo al nome di Asclepio
quello di un santo cristiano, potremmo trovare le stesse parole su uno dei tanti ex voto raccolti nelle nostre chiese, a testimonianza di miracoli compiuti e di preghiere ascoltate. Invece, questa iscrizione “per grazia ricevuta” risale al II secolo a.C., ed era affissa in un santuario di Esculapio, dio romano della medicina, conosciuto dai Greci con il nome di Asclepio. L’uso di ricompensare gli dei per i voti esauditi, così come quello di propiziarseli con offerte votive, non solo è comune a molte tradizioni religiose, ma ha un’origine antichissima.
I santuari di tutto l’Impero Romano traboccavano di statuette con incisa la formula votum solvit (molto più rara la dicitura ex voto), insieme al nome e, qualche volta, al motivo per cui si voleva ringraziare la divinità. Assieme ad armi, oggetti di vario genere e raffigurazioni di parti del corpo (verosimilmente, proprio quelle guarite dal dio), che venivano prodotte in serie e vendute fuori dal tempio, anche il santuario stesso poteva costituire l’offerta votiva di qualche uomo ricco e molto devoto.
Gli ex voto erano principalmente di due tipi: “propiziatori”, se dedicati nel momento in cui il voto veniva formulato, o “gratulatori”, se testimoniavano l’avvenuto miracolo. Nelle epigrafi in latino, i due tipi sono facilmente riconoscibili grazie alle diverse formule utilizzate: votum fecit libens animo, nel caso in cui l’offerta fosse fatta quando il voto veniva pronunciato, oppure, molto più comunemente, votum solvit libens merito, in seguito al soddisfacimento della preghiera espressa. Il voto si inserisce perfettamente nel meccanismo religioso arcaico, conosciuto come do ut des, o do quia dedisti, basato sulla relazione di reciprocità tra il fedele e la divinità, che garantisce l’adempimento degli impegni presi e il compimento dei doveri dell’una e dell’altra parte. Un celebre esempio di voto pronunciato e poi assolto è quello di vendetta espresso da Ottaviano, nel 42 a.C., prima della battaglia di Filippi contro i cesaricidi, e onorato magnificamente, dopo la vittoria, con l’erezione del tempio di Marte Ultore nel Foro di Roma.
Che fossero da parte dell’imperatore o a opera di singoli cittadini, questi doni degli uomini agli dei avevano anche la funzione di conservare le relazioni pacifiche che intercorrevano fra le due parti, quella pax deorum su cui si fondava la religione romana e che non era appannaggio esclusivo dei ceti elevati, bensì di tutto il popolo. Quando si decideva di offrire un dono alla divinità? In seguito a un miracolo, naturalmente, oppure per propiziare una vendetta, o quando si temeva una disgrazia imminente (per esempio, durante un naufragio o prima di una traversata); ma anche in occasione di un lieto evento, come un matrimonio, una nascita, una gravidanza che tardava ad arrivare, un successo personale (come l’avanzata nel cursus honorum). Secondo l’occasione, ci si rivolgeva a una divinità specifica, a cui si decideva di affidare il proprio voto. La sfera militare non era immune da questo fenomeno: esistono opere architettoniche dedicate da generali o imperatori in occasione di vittorie importanti, così come armi consacrate al dio da semplici soldati, grati di aver avuto salva la vita.
Gli ex voto in epoca pagana: le offerte dei gladiatori e le malattie
Anche i gladiatori usavano offrire armi o altri oggetti a Nemesi e a Ercole la sera prima del munus, il combattimento in cui offrivano la propria vita. Gli ex voto dedicati dalle donne parlano di fertilità, matrimonio, guarigione, preoccupazione per la salute della prole, ma testimoniano anche riti di passaggio: ad Atene, le future spose dedicavano alla dea vergine Artemide gli oggetti appartenuti alla loro fanciullezza, come una spazzola o la bambola con cui giocavano da bambine.
Lo studio degli ex voto consente di conoscere meglio la religiosità popolare e ci rivela quali divinità fossero le più venerate e quali santuari fossero particolarmente famosi per i “miracoli” che vi si compivano. A volte ce ne fa addirittura scoprire di nuovi, come il tempio dedicato a Minerva Medica in Val Trebbia (provincia di Piacenza), la cui esistenza è stata svelata proprio dalla presenza di epigrafi votive; come quella di Coelia Iuliana, che attesta di essere stata “liberata da una grave malattia, grazie alla bontà delle sue medicine”, o quella di Tullia Superiana, che testimonia la guarigione dalla calvizie.
Gli ex voto in epoca pagana: una fonte preziosa
Gli ex voto sono anche fonti preziose per ricostruire la vita quotidiana degli abitanti dell’Impero, dalla Britannia alla Siria. Nei pressi di Ras el-Soda, non lontano da Alessandria d’Egitto, sorge un tempietto con un’imponente scalinata. Le colonne proteggono il naos, la stanza più sacra: al centro, nel posto d’onore, si erge un pilastro di marmo, su cui campeggia un piede scolpito, assieme all’iscrizione pronta a rivelarci la sua storia: “Scaraventato fuori dal carro per colpa dei suoi cavalli, qui, Isidoro, come ringraziamento per essere stato salvato e aver conservato i piedi, ha dedicato l’immagine del suo piede alla beata Iside”. In questo particolare caso, il voto fatto a Iside, divinità che nell’Egitto romano abbracciava ogni ambito della vita, deve risalire al momento stesso dell’incidente, quando Isidoro temeva di perdere la vita o di rimanere invalido; ma dopo essersi salvato, egli desidera fare molto di più che una semplice offerta votiva.
Ciò dimostra come diversi tipi di ex voto possano intrecciarsi tra loro: un’epigrafe, la raffigurazione del piede “miracolato” e un tempietto che renda il tutto ancora più imponente. Esistevano dunque svariati modi per ricompensare la divinità dopo una grazia ricevuta: da una piccola statuetta fino a un santuario, innalzato nella più grande magnificenza, naturalmente a seconda dell’importanza del miracolo e delle possibilità economiche del dedicante. Gli ex voto restano testimoni di tante piccole storie, memorie spesso commoventi di come si viveva la religiosità al tempo dei Romani.