Arlecchino, la popolare maschera bergamasca della Commedia dell’Arte, è in realtà una figura molto più complessa di quanto non si possa immaginare. Il nome pare derivare da quello di Hellequin, un diavolo presente nella tradizione medievale francese. La sua “masnada”, che si dice attraversasse i villaggi devastandoli, viene descritta per la prima volta in maniera compiuta dal monaco anglo-francese Orderico Vitale (1075-1142).
Orderico riporta la testimonianza del prete normanno Walchelin, che avrebbe incontrato la masnada la notte del primo gennaio 1091 mentre ritornava da una visita a un malato della sua parrocchia. Udendo il fragore di un esercito, il religioso pensò si trattasse di quello di Roberto di Bellême, uomo crudele e sanguinario, e si nascose, ma subito gli apparve un gigante armato di randello, che gli ordinò di guardare attentamente. Poco dopo, ecco una strana e terribile processione, che descrisse così: “Il primo gruppo era il più composito. Era un’immensa truppa di fanti, con bestie da soma cariche di vesti e di utensili diversi, come briganti che camminano oppressi sotto il peso del bottino. Affrettavano il passo gemendo e fra loro il prete riconobbe dei vicini recentemente deceduti. Seguiva una schiera di sterratori, alla quale si unì il gigante; essi portavano a due a due una cinquantina di barelle cariche di nani, che avevano la testa smisuratamente grossa o a forma di vaso.
Due etiopi – demoni neri – portavano un tronco d’albero sul quale era legato e torturato uno sventurato che urlava per il dolore; un demone terrificante, seduto sul tronco, lo feriva ai reni e alla schiena colpendolo con i suoi speroni incandescenti. Subito dopo, una torma di donne a cavallo, “sedute all’amazzone su selle dotate di chiodi ardenti; incessantemente il vento le sollevava all’altezza di un cubito per lasciarle poi ricadere dolorosamente sulle loro selle; i seni erano trapassati da chiodi arroventati che le facevano urlare e confessare i loro peccati“.
Poi fu il turno di un gruppo di preti e monaci, guidati da vescovi e abati, che portavano ognuno la propria croce e supplicavano Walchelin di pregare per loro. Il prete si rese conto che si trattava della Masnada di Hellequin (“familia Herlechini”) di cui tanto aveva sentito parlare, ma senza averci mai creduto, e si convinse quando gli apparve un esercito di cavalieri nero e vomitante fuoco, armato come in guerra: la truppa era guidata da Roberto, suo fratello, che per le sue malefatte era stato condannato a vagare in quel modo. Roberto implora Walchelin di pregare per lui permettendo la sua liberazione, e di comportarsi a sua volta rettamente, pentendosi dei suoi peccati, visto che sarebbe morto di lì a poco.
L’intero racconto ha ovviamente scopo edificatorio: tutti i personaggi, divisi nei tre ordini di cui si compone la società (oratores, bellatores, laboratores), marciano verso la dannazione eterna. Per evitarla, l’unico modo è la conversione e la preghiera. Il mito della masnada di Hellequin – più tardi “neutralizzato” nella maschera di Arlecchino – e della sua variante principale, la “Caccia selvaggia”, raccoglie senza dubbio tradizioni orali molto più antiche. Dietro questa magnifica e terribile immagine non è difficile scorgere retaggi di culti e credenze di stampo marcatamente pagano, in particolare di tipo celto-germanico. Lo stesso nome di Hellequin (noto anche nelle forme Herlequin o Helething) parrebbe di origine germanica a partire dal riferimento all’esercito (in tedesco Heer) e all’assemblea dei guerrieri liberi (Thing). La sua figura, inoltre, è assimilabile a quella del dio Wotan- Odino, che era il condottiero in capo della famigerata caccia selvaggia.