Nella primavera del 1946, Winston Churchill si recò a Fulton, nel Missouri. Questa piccola cittadina del Midwest poteva sembrare una destinazione improbabile per l’uomo che fino all’estate precedente aveva guidato il più grande impero del mondo; ma Churchill, scartato dall’elettorato britannico (aveva infatti perso le elezioni dell’anno precedente), aveva il morale sotto i tacchi. Quando il presidente americano Harry Truman lo invitò a tenere una conferenza in un piccolo college dello Stato in cui era nato, Churchill la giudicò come un’occasione per rinvigorire la sua reputazione in America.
Churchill e Truman si recarono a Fulton in treno; durante il viaggio il presidente lesse la bozza del discorso dell’ex primo ministro e dichiarò che era eccellente. Ma quando, il 5 marzo, Churchill si alzò in piedi nella palestra del Westminster College, pochi si aspettavano che le sue parole sarebbero entrate nella storia. Era calata un’ombra spiegò Churchill, “sugli scenari illuminati così di recente dalla vittoria degli Alleati”, e ciò era accaduto solo a causa dell’Unione Sovietica di Stalin. “Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico”, dichiarò l’ex premier britannico, “una cortina di ferro è scesa attraverso il continente”. Ciò rendeva ancora più importante la collaborazione anglo-americana.
Quello delle due nazioni, aggiunse, era un “rapporto speciale”. Churchill non fu il primo a usare l’espressione “cortina di ferro”, ma fu senza dubbio il più famoso tra coloro che la utilizzarono. Dopo quel giorno a Fulton non ci furono più dubbi: l’alleanza tra l’Unione Sovietica di Stalin e le due grandi potenze occidentali era terminata. E la Guerra Fredda aveva avuto inizio.