La mezzaluna e la svastica: il rapporto tra Hitler e il Gran Muftì

È cosa nota la sostanziale simpatia che Adolf Hitler ed i vertici del nazionalsocialismo tedesco nutrivano per l’Islam. Il Führer, in più di un’occasione, ebbe modo di tessere le lodi di una religione che esaltava l’eroismo e la fede in una causa al contempo spirituale e politica. Addirittura, arrivò a ritenere la vittoria di Carlo Martello a Poitiers come un male per l’Europa: ovvero, come un qualcosa che aveva condannato definitivamente all’influenza giudaica. Tale ammirazione per l’Islam generò vere e proprie leggende. In tutto il Vicino e Medio Oriente, così come nel Nord Africa, si diffuse addirittura la voce che Hitler si fosse convertito alla religione di Allah assumendo il nome di Abu Ali; e che Joseph Goebbels fece altrettanto quando, entrato senza preavviso nel suo ufficio, lo trovò raccolto in preghiera verso la Mecca. É altrettanto noto il fatto che Heinrich Himmler si vantasse di tenere a portata di mano sulla sua scrivania solo due libri: il Mein Kampf ed il Corano.

Questa forma di ammirazione era in qualche modo ricambiata dallo stesso mondo islamico (soprattutto dalla sua componente araba e persiana). Dal Marocco all’Iraq, furono molti i leader arabi che guardarono con fiducia all’espansione della Germania nazionalsocialista ed al ruolo che questa avebbe potuto avere in contrasto con l’imperialismo franco-britannico. Molti di essi ritennero che solo una stretta alleanza con la Germania avrebbe potuto garantire un futuro di indipendenza ai rispettivi Paesi. E lo stesso Hitler ebbe modo di affermare che il movimento di liberazione arabo fosse il naturale alleato del Terzo Reich.

Due personalità del mondo arabo legarono in particolar modo il loro nome a quello di Adolf Hitler: il Gran Muftì di Gerusalemme Hajj Amin Al-Husseini ed il politico iracheno Rashid Ali al-Gailani. I rapporti tra questi due leader arabi non furono sempre ottimali e si deteriorano rapidamente dopo il fallimento della rivolta irachena contro l’occupazione britannica del 1941 alla quale la Germania diede un contributo tardivo e quasi inutile nonostante l’importanza geostrategica del Paese mediorientale. Entrambi, alla pari di molti politici e militari egiziani e siriani che successivamente ricoprirono ruoli di rilievo nei processi di de-colonizzazione delle rispettive Nazioni, erano convinti che la Germania, più ancora della colonialista Italia, fosse una sorta di patrocinatore della causa araba. Tuttavia, mentre la visione di al-Gailani era piccolo-nazionalista, quella del Muftì era panarabista e panislamista: rivolta, dunque, alla creazione, una volta liberata la regione dall’occupazione franco-britannica, di un grande Stato “teocratico” arabo-islamico che avrebbe dovuto includere Palestina, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq.

La mezzaluna e la svastica: in comune nemici e visioni

A rinforzare il legame tra la causa del Muftì e quella del nazionalsocialismo vi era anche la lotta contro un nemico comune: quello che veniva definito come “giudaismo internazionale”. È cosa nota la dura opposizione che al-Husseini mosse contro la penetrazione sionista nella Palestina sottoposta al mandato britannico. In questo contesto, egli utilizzò ogni mezzo necessario per fare in modo che tale penetrazione venisse bloccata ed ostacolata: dal diritto (presentò una documentazione talmente voluminosa sui diritti di proprietà musulmana della Città Vecchia di Gerusalemme – compreso il terreno adiacente al Muro occidentale o “Muro del pianto” – che gli stessi britannici, nei cosiddetti White Papers, non poterono far altro che riconoscerne la veridicità) fino alla lotta armata degli anni ’30.

Ma ad avvicinare il Muftì al nazionalsocialismo non vi era solo un nemico comune. Infatti, come riporta lo storico Stefano Fabei nel suo volume Il fascio, la svastica e la mezzaluna, “c’erano, a suo giudizio, nelle due concezioni, l’islamica e la nazista, elementi molto simili. Uno di questi era il fuhrerprinzip, che sembrava richiamare quello del califfato, principio in base al quale il califfo (luogotenente di Dio in terra) era detentore del potere spirituale e di quello temporale ed esercitava il ruolo di guida politica, comandante militare ecc. […] L’esaltazione nazista della vita intesa come militanza, come lotta per la realizzazione di se stessi […] richiamava il principio di jihad (sforzo supremo sulla via di Dio) basilare nell’Islam. Anche sul piano sociale e sulla necessità di salvaguardare i valori tradizionali esistevano per il Muftì delle affinità tra l’Islam ed il nazismo: riferimenti al concetto di gemeinschaft (comunità) e alla solidarietà sociale tanto cari ai tedeschi erano individuabili negli insegnamenti del Profeta”.

Il Gran Mufti di Gerusalemme passa in rassegna le SS bosniache di religione musulmana (Handschar Division)

Il primo incontro tra Hitler ed al-Husseini avvenne a Berlino il 28 novembre 1941 alla presenza del ministro degli Esteri del Reich Joachim von Ribbentrop. In questa occasione il Muftì espose il suo progetto alla guida nazionalsocialista e sollecitò la necessità di una dichiarazione congiunta italo-tedesca che rendesse noto il sostegno dell’Asse alla causa araba ed il diritto all’indipendenza dei Paesi arabi una volta liberati il Nord Africa ed il Vicino Oriente dalla presenza britannica. Hitler assicurò al Muftì la volontà tedesca di lottare senza tregua contro gli ebrei, la Gran Bretagna e l’URSS (ritenute entrambe come strumenti nelle mani dell’ebraismo). Tuttavia, ritenne una simile dichiarazione in favore dell’indipendenza araba prematura e dal carattere nullo sul piano pratico. Nella realtà, il Führer era ben consapevole che una simile dichiarazione avrebbe attirato le ire di alcuni suoi alleati formalmente “colonialisti”; dall’Italia fascista che considerava l’area del Vicino Oriente come una propria zona di influenza, al governo collaborazionista francese di Vichy che mantenne intatte le sue prerogative coloniali nel Nord Africa, fino alla Spagna franchista con le sue enclavi in Marocco.

A ciò si aggiunga che, concentrando i propri sforzi sul fronte orientale, Hitler quasi si disinteressò dell’area mediterranea. Un errore strategicò che sarà determinante nella prosecuzione del conflitto. Già all’inizio del 1943 le forze dell’Asse vennero scacciate dall’Africa del Nord ed il ruolo del Muftì si ridusse a quello di reclutatore e propagandista per il Terzo Reich. Ebbe, infatti, un ruolo di rilievo nell’organizzazione di una divisione musulmana delle SS costituita in gran parte da croati e kosovari che Himmler riteneva essere discendenti di pure genti ariane. Ma il suo sogno di costruire un grande ed indipendente Stato arabo era già inesorabilmente tramontato e nemmeno il panarabismo nasseriano, negli anni ’50 e ’60, riuscirà completamente a riportarlo in auge.

Il logo della Handschar Division delle Waffen SS, costituita da truppe di religione islamica.

Le mezzaluna e la svastica: quando Hitler definì Mussolini un intralcio

Hitler, dal canto suo, negli ultimi istanti del conflitto mondiale, di fronte a Martin Bormann, si rammaricò della sua politica nei confronti del mondo arabo-islamico dichiarando: “L’alleato italiano ci ha intralciato dappertutto. A causa sua non abbiamo potuto intraprendere una politica fondamentalmente nuova nell’Africa del Nord […] era evidente che l’Italia reclamasse questo spazio per sé ed il Duce aveva sempre ribadito questa esigenza. Solo noi avevamo la possibilità di liberare i popoli dominati dalla Francia. Un tale sollevamento avrebbe avuto effetti senza limiti nell’Egitto e nel Vicino Oriente sottomessi agli inglesi […] E ciò tenuto conto che tutto l’Islam fremeva di fronte alla prospettiva della nostra vittoria. I popoli d’Egitto, d’Iraq e di tutto il Medio Oriente erano pronti all’insurrezione. Quanto avremmo potuto fare per aiutarli, per affiancare il loro valore […] L’alleanza con gli italiani ci paralizzava e causava malessere nei nostri amici musulmani, perché per loro, volontariamente o involontariamente, erano complici dei loro oppressori”.

 

Immagine in evidenza via commons.wikimedia.org, Bundesarchiv, Bild 146-1987-004-09A / Heinrich Hoffmann / CC-BY-SA 3.0

Daniele Perra

Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali. Nel 2015 ha conseguito il Diploma di Master in Middle Eastern Studies. Collabora attivamente con “Eurasia – Rivista di studi geopolitici” e con diversi siti informatici, italiani ed esteri, su tematiche di carattere geopolitico, storico-tradizionale e filosofico.

Articolo Precedente

La Balena della Barafonda. Memorie di una Romagna che non c’è più

Articolo successivo

L’ “esperimento Filadelfia” fra leggenda e realtà