Nel 1586 Maria Stuarda (Mary Stuart) aveva già trascorso almeno due decenni da prigioniera. Anche se aveva abdicato rinunciando al ruolo di regina di Scozia, Maria rimaneva un’eroina per i molti cattolici inglesi che la consideravano la legittima sovrana d’Inghilterra. Per sua cugina, Elisabetta I, era una pericolosa concorrente: ecco perché Maria fu costretta agli arresti domiciliari. Alla fine del 1586, però, la donna risultò coinvolta nel cosiddetto “complotto Babington” per assassinare Elisabetta, salire sul trono d’Inghilterra e restaurare nella nazione il cattolicesimo.
E così, il primo febbraio 1587, Elisabetta firmò la condanna a morte della cugina. Sei giorni dopo, presso il castello di Fotheringhay, Maria seppe di doversi preparare per la pena capitale. La mattina dell’esecuzione, dopo una notte passata a pregare, si vestì di velluto marrone e cremisi, i colori del martirio, e fu condotta nella sala principale. Là, secondo un testimone francese, Maria “fece il suo ingresso nella stanza piena di grazia e maestà, come se si stesse recando a un ballo. Entrando, il suo volto rimase imperturbato”.
Bendata, s’inginocchiò su un cuscino posto su un patibolo eretto appositamente e iniziò a pregare in latino. Poi il boia calò la sua ascia. Sfortunatamente, sbagliò mira e la colpì alla testa, anziché al collo. Il secondo colpo riuscì quasi a mozzarle il capo, salvo per una ”piccola cartilagine”. Al terzo tentativo, infine, la testa si staccò del tutto. Il boia la alzò per mostrarla alla folla, gridando “Dio salvi la regina Elisabetta!”.
Come per un segnale concordato, in quel momento la parrucca ramata cadde dal capo reciso, rivelando i corti capelli grigi di Maria. In piedi accanto al corpo, il conte di Kent commentò solennemente: “Così finiscano tutti i nemici della regina e del Vangelo”.
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