L’eccidio di Schio: un massacro a guerra finita

Tra le pagine nere dell’immediato secondo dopoguerra in Italia c’è sicuramente quella dell’eccidio di Schio. Nella notte tra il 6 e il 7 luglio 1945, quindi due mesi dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un gruppo di ex partigiani della divisione garibaldina Ateo Garemi insieme ad alcuni agenti della Polizia ausiliaria partigiana uccidono, a Schio (Vicenza), un gruppo di detenuti che si trovavano nel carcere mandamentale della città (in foto come si presenta oggi), come rappresaglia per l’eliminazione, da parte delle Brigate Nere, del partigiano Giacomo Bogotto e per la strage di Pedescala, perpetrata dai tedeschi in ritirata.

Pur non avendo a disposizione elenchi di militanti fascisti, i partigiani passarono in rassegna i 99 detenuti (alcuni dei quali erano delinquenti comuni, altri erano stati fermati per indagini su eventuali loro corresponsabilità col regime e con la Repubblica sociale italiana) scegliendone una cinquantina per fucilarli.

Alcuni partigiani abbandonarono il luogo, non volendo partecipare all’eccidio; gli altri procedettero all’esecuzione a colpi di mitraglia. In tutto furono uccise 54 persone, tra cui 14 donne (la più giovane aveva 16 anni), mentre altre 17 rimasero ferite.

 

Immagine via commons.wikimedia.org, autore Elisa.rolle

Elena Percivaldi

Storica medievista, saggista e giornalista professionista, collabora con le principali riviste di alta divulgazione del settore storico: “Medioevo”, “BBC History” e “Storie di Guerre e Guerrieri”, “Conoscere la Storia”, “Civiltà Romana”. All'attività di relatrice in incontri, conferenze e convegni in tutta Italia affianca la curatela di mostre storico-archeologiche e di eventi storico-rievocativi. Fa parte di vari comitati scientifici e ha scritto una ventina di libri, alcuni dei quali tradotti anche all'estero.

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