La storia dei nativi americani documenta con cruda evidenza quanto sia stata crudele la colonizzazione messa in atto dalle genti approdate sulle coste dell’America dall’inizio del Seicento. Con lo sbarco dei Padri Pellegrini iniziò la conquista di quelle terre lontane senza alcun riguardo per chi ci viveva. Con l’arrivo dei pionieri, i nativi persero le basi della loro sussistenza, le loro risorse naturali e persino la libertà di continuare a vivere secondo le loro usanze e tradizioni.
In seguito all’invasione degli uomini bianchi, con i cavalli e le armi da fuoco, le praterie divennero terra di conquista e la caccia ai bisonti, sostentamento di ogni tribù, divenne una pratica sportiva alla ricerca del record per il maggior numero di bisonti abbattuti le cui carcasse venivano abbandonate a migliaia, magari solo per strapparne la lingua.
Nel suo libro “Mondi perduti. Una storia dei nativi nordamericani 1700-1910“, Aram Mattioli, professore di Storia contemporanea all’Università di Lucerna, racconta con straordinaria plasticità il lungo e violento processo di colonizzazione messo in scena dai “bianchi” contro i nativi indiani, dal Settecento alla prima decade del Novecento, mettendo in evidenza il punto di vista dei “vinti” e i vari modi con cui reagirono ai soprusi e alla conquista. Il volume analizza, inoltre, le strutture sociali, i caratteri culturali e i modi di vivere dei popoli dalla pelle color rame. Narratore potente, oltre che studioso approfondito, Mattioli descrive i soprusi, le battaglie, i massacri, i periodi di difficile convivenza con i bianchi, le marce per trasferire intere popolazioni nelle riserve, la dura sopravvivenza dei nativi. Protagonisti e vittime della conquista del West appaiati in uno scenario grandioso e terribile.