É uno dei più grandi rompicapo dell’archeologia moderna che continua a sorprendere archeologi e antropologi da quando, agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso, vennero alla luce le prime vestigia di una complessa cultura denominata Cucuteni-Trypillian, diffusa nella regione dei fiumi Dnestr-Dnepr (attuali Romania, Moldavia e Ucraina). Decine e decine di abitati che, come hanno rivelato gli scavi, potevano raggiungere dimensioni inusitate se consideriamo che le datazioni al radiocarbonio li collocherebbero tra il 4000 e il 3000 a.C.
Un dato incontrovertibile che permette di affermare che la loro nascita sarebbe più o meno contemporanea alla formazione dei più antichi centri urbani che si conoscano: Ur e Uruk nella Mesopotamia meridionale. Su una cosa però siamo certi: i centri dell’attuale Iraq meridionale non potevano neppure lontanamente rivaleggiare per estensione con quelli europei. Per far capire di cosa stiamo parlando si possono citare le dimensioni di alcuni tra i siti più vasti. A Talianki, in Ucraina, sono state censite ben 2700 abitazioni per una superficie complessiva di oltre 450 ettari e una popolazione stimata intorno ai 21mila abitanti.
Quelle enigmatiche megalopoli vecchie di 6mila anni: tutte distrutte dal fuoco
La sua datazione sarebbe da collocare intorno al 3700 a.C. E non è un’eccezione. A Maydanets, sempre in Ucraina, si pensa fossero presenti ben 3000 abitazioni con una popolazione valutabile intorno alle 29mila anime. L’abitato di Nebelivka si estendeva invece sui 300 ettari e accoglieva 15mila residenti. Queste megalopoli, come le hanno chiamate alcuni studiosi, avevano una forma circolare o ellittica ad anelli concentrici e, in alcuni casi, erano protette da steccati e fossati. Un altro aspetto curioso è che le abitazioni erano pressoché identiche. A parte alcune eccezioni, che richiederanno ulteriori studi, non sembrano essere presenti aree di culto o palazzi del potere. Il che farebbe pensare che si sia trattato di una società agricola in cui non esisteva alcuna stratificazione sociale. Eppure la loro cultura, in particolare le ceramiche, sono autentici capolavori artistici che dimostrano un’abilità davvero fuori dal comune. Altrettanto affascinanti sono tutta una serie di figurine antropomorfe che testimoniano l’esistenza di culti complessi legati ai temi della fertilità femminile.
Ma il vero rebus che si lega a questi centri è che, per ragioni che non sono mai state veramente appurate (le teorie abbondano), a un certo punto della loro storia, furono completamente distrutti dal fuoco. Un atto sistematico che caratterizzò la quasi totalità degli edifici. Scartata l’idea di distruzioni legate ad attività belliche, vista la ripetitività della pratica in quasi tutti i siti, è stato ipotizzato che potesse essere una forma di rituale di purificazione del suolo che preannunciava l’abbandono del sito. In sostanza i suoi abitanti, dopo aver sfruttato le risorse locali, lo lasciavano per stabilirsi in un altro posto.
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(Immagine di sfondo: elaborazione grafica di Dantegráfico per Pixabay.com)