
Il comandante del campo di concentramento di Treblinka, Franz Stangl, e l’inventore dei camion adibiti a camere a gas, Walter Rauff; Klaus Barbie, detto il Boia di Lione, e Alois Brunner, al quale viene attribuita la morte di oltre 140mila ebrei nel campo di Drancy del quale era a capo. E ancora Eichmann, Priebke e Josef Mengele, l’Angelo della Morte di Auschwitz. Sono solo alcuni dei più efferati criminali di guerra sfuggiti al processo di Norimberga e riparati in America Latina dopo la Seconda guerra mondiale attraverso la cosiddetta Ratline (“via dei topi”) o “via dei monasteri”.
Grazie a questo canale di fuga, già predisposto prima della fine della guerra (quando la sconfitta tedesca era orma certa) centinaia di alti funzionari del III Reich e di ufficiali delle Forze Armate, insieme a migliaia di collaborazionisti, raggiunsero l’Italia confondendosi con il fiume di profughi proveniente dai Paesi dell’Europa centrorientale. Una volta giunti nella Penisola, poterono contare sui controlli tutt’altro che meticolosi delle autorità, ma soprattutto sull’aiuto di alcuni religiosi, come il vescovo Alois Hudal, rettore del Collegio di Santa Maria dell’Anima a Roma, che gli fornirono documenti falsi e indirizzi sicuri.
Un “soccorso vaticano” agli ex nazisti che trovava fondamento in ragioni umanitarie, ma anche politiche. Fra quanti si servirono con successo di questo espediente ci fu perfino un ex capo di Stato: il fondatore degli Ustascia e dittatore croato Ante Pavelic. Per approdare indenni in Sudamerica, soprattutto in Argentina, i rifugiati nazisti avevano a disposizione anche i documenti e i capitali raccolti dall’organizzazione Odessa, acronimo di Organisation Der Ehemaligen SSAngehörigen (“Organizzazione degli ex appartenenti alle SS”), appositamente creata nel 1947 e ammanicata con il governo del presidente argentino Juan Domingo Perón.
Note: di questo argomento si parla in dettaglio nel numero 85 di BBC History, disponibile nello store Sprea Editori