“C’è un’atmosfera elettrica intorno a noi”, raccontò Alessandra, ex imperatrice di Russia, a un amico, in una delle ultime lettere scritte prima della sua morte. “Temiamo una tempesta in arrivo, ma sappiamo che Dio è misericordioso”. Tuttavia, se Alessandra avesse avuto idea di che cosa stava realmente per accadere, forse avrebbe dubitato della benevolenza dell’Altissimo verso la sua famiglia. Nel luglio del 1918 sulla città di Ekaterinburg, ai piedi degli Urali, imperversava un’estate torrida e la famiglia reale russa attendeva il proprio destino nella ex abitazione di un mercante requisita dai sovietici locali.
La monarchia era caduta quasi un anno prima: lo zar Nicola II, sua moglie Alessandra e i loro cinque figli (Olga, Tatiana, Maria, Anastasia e Alexei) erano stati privati di ogni privilegio, messi sotto stretta sorveglianza e spediti a est. E ora, con la Russia dilaniata dalla guerra civile e l’esercito cecoslovacco che si avvicinava, l’atmosfera in città si era fatta davvero pesante.
Poco dopo la mezzanotte del 17 luglio il comandante bolscevico Yakov Yurovsky ordinò che la famiglia reale fosse fatta alzare dal letto e portata in una lurida cantina, apparentemente in attesa di venire trasferita altrove. Ma a quel punto il comandante lesse ad alta voce una condanna a morte scarabocchiata in fretta: “Nikolai Alexandrovich, di fronte alla constatazione che i vostri parenti non hanno cessato le loro ostilità nei confronti della Russia, il Comitato Esecutivo degli Urali ha deciso di condannarvi alla pena capitale”. “Che cosa? Che cosa?”, ebbe appena il tempo di rispondere l’ex imperatore, poi le guardie aprirono il fuoco. Nicola cadde all’istante, ma la scena che seguì fu un orrendo caos di fumo e proiettili.
Le due figlie adolescenti non morirono subito, perciò Yurovsky e i suoi uomini le finirono a colpi di baionetta. Alcuni dei bambini portavano abiti trapuntati di diamanti, che resero ancora più difficile l’uccisione. Fu un evento orripilante.
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