Per i cittadini romani, la condizione di schiavo era infame: un soldato romano avrebbe preferito uccidersi piuttosto che diventare schiavo del nemico. Dopo essere stati acquistati sui mercati (il più celebre, all’epoca delle rivolta di Spartaco, era quello di Delo, dove si vendevano migliaia di schiavi al giorno) uomini, donne e bambini diventavano semplici oggetti a disposizione del padrone, che aveva su di loro giurisdizione totale.
A volte venivano marchiati a fuoco e non potevano possedere alcun bene. Non era loro concesso nemmeno avere una vera famiglia, poiché il loro matrimonio era considerato un concubinato e, di conseguenza, non aveva pieno valore legale. I figli degli schiavi, così come gli schiavi stessi, erano quindi di proprietà del padrone. I lavori per cui erano utilizzati erano i più vari: domestici, agricoltori, braccianti, mandriani, muratori, giardinieri, ecc.
I più colti potevano trovare impiego anche come insegnanti di lingua, soprattutto di greco, o come precettori. Svolgevano anche mansioni di livello bassissimo, come spurgare le fognature o allevare maiali. A volte si occupavano, invece, della cura personale dei loro padroni.