Il 26 aprile del 1986 il mondo prese improvvisamente e concretamente coscienza dei rischi connessi con la tecnologia nucleare. Quello avvenuto a Chernobyl, nel nord dell’attuale Ucraina (all’epoca parte dell’Unione Sovietica) è riconosciuto come il più grave incidente a una centrale mai avvenuto. Il disastro avvenne alle ore 1.23 del mattino, all’interno della stazione nucleare intitolata a Vladimir Lenin e situata a tre chilometri dalla cittadina di Pripyat, mentre si stava svolgendo un test di sicurezza sul reattore indicato con il numero quattro.
Durante il test, purtroppo, a causa di una serie di errori e mancanze da parte del personale, si generò un consistente aumento di potenza del nocciolo del reattore, che provocò un repentino aumento della temperatura. Questo provocò la scissione dell’acqua di refrigerazione in idrogeno e ossigeno, generando una pressione tale da provocare la rottura delle tubature del sistema di raffreddamento. Non solo, ma il contatto tra l’idrogeno e la grafite incandescente delle barre di controllo con l’aria provocò una potente deflagrazione che scoperchiò il reattore, dando vita anche a un incendio.
Il materiale radioattivo liberato dall’esplosione nel reattore investì tutte le aree intorno alla centrale, provocando la necessità di reinsediare in breve tempo 336mila persone. La nube radioattiva si dilatò in tutta l’Europa dell’est, in Scandinavia e poi, scemando via via in intensità, in Europa occidentale e addirittura verso la East Coast americana. L’emissione di vapori radioattivi cessò soltanto il 10 maggio.
Secondo l’ONU, tra chi aveva tra gli zero e i 18 anni al tempo del disastro, sono stati registrati 4mila casi di tumori della tiroide, mentre 65 sono i morti accertati. Secondo Greenpeace, tuttavia, i dati delle Nazioni Unite sarebbero da rivedere ampiamente al rialzo, con 6 milioni di tumori e patologie letali che, nel corso dei 70 anni seguenti all’esplosione, dovrebbero essere collegati con quell’avvenimento. Gli effetti delle radiazioni hanno colpito anche la flora e la fauna in buona parte dell’Europa centro-orientale e, secondo alcuni, studi, altri effetti della catastrofe sarebbero da attendersi per altri 100 anni.
Immagine via commons.wikimedia.org, autore Tiia Monto