“Fascista, fascista, fascista” il fascismo è ormai come il parmigiano, lo si mette dappertutto anche laddove non ci sta bene, come sul pesce. E il “pesce” in questo caso è Putin che di fascista proprio non ha nu
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E mica solo perché è stato nel KGB, né perché ancora (dice lui) conservi la tessera del Partito Comunista dell’Unione Sovietica.
Ha abolito Memorial, l’ONG russa con sedi in tutto il mondo che perpetua la memoria dei crimini di Stalin. Ha fuso, nella cultura e nell’identità russe, il passato zarista e quello sovietico, tanto che oggi a Mosca a distanza di tre chilometri trovi la statua di Nicola II e la statua di Lenin, proprio di fronte al “Luzniki”, fra gli stadi dei Mondiali 2018.
Celebra con determinazione e grande partecipazione la Grande Guerra Patriottica: la maxi parata del 9 maggio e la celebrazione degli ultimi eroi della lotta al nazismo ne sono lampante esempio.
Eppure il “mondo libero” gli dà del fascista.
Certo, se con fascismo intendiamo prevaricazione, prepotenza, rifiuto della pluralità di opinioni Vladimir Putin fascista lo è. Ma siccome in Occidente (soprattutto in Italia) l’etichetta è affibbiata senza neanche pensare al suo significato più vero, l’accostamento è quanto meno inopportuno.

Il rifiuto della pluralità e il ricorso alla propaganda lo facciamo anche noi, malgrado non vogliamo ammetterlo.
Dal Covid a Kiev Il 24 febbraio 2022 il Covid-19 è sparito dalle comunicazioni. Ventiquattro mesi di bombardamento mediatico si sono esauriti quando il primo tank russo ha varcato i confini ucraini.
Tutte le news relative alla pandemia, ai problemi economici e sociali che ha causato, alla ripresa post pandemica sono finiti fra le ultime notizie dei telegiornali. Non c’è stata una riduzione progressiva dell’informazione in tema sanitario, ma una interruzione netta come se nell’arco di 24 ore la pandemia avesse smesso di fare paura.
Non è così, ma l’impressione è stata quella.
Ascoltando una sola campana, sappiamo che i russi oggi attaccano, domani sono impantanati, dopodomani si ritirano e una settimana dopo sono alle porte di Kiev. Veniamo a sapere di deportazioni e stupri senza, però, avere la certezza delle informazioni che riceviamo. Mica che in guerra episodi crudeli e terribili come le violenze sui civili, sulle donne in particolare, siano nuovi ma il sentito dire ha preso il posto della verità al 100%.
Dagli al russo Dal “dagli all’untore” di manzoniana memoria siamo passati alla russo-fobia. Manzoni non si rivolterà nella tomba, perché si è già rivoltato da tempo insieme ai padri di una lingua, quella italiana, adattata a qualunque neologismo ed anglicismo possa farci sentire parte della “massa”. Sì, la massa come quella che obbediva a Stalin, Mussolini e Mao senza discutere, perché discutere vuole dire crearsi problemi da soli ed essere isolati. O accusati, in questo caso, di essere filo-russi cosa è quasi peggio dell’essere un “fascista”. Che l’invasione dell’Ucraina sia ingiustificabile certo non devono spiegarcelo politici ed opinionisti, tuttavia il come ed il perché siamo arrivati a tanto resta ancora un mistero per la maggior parte della popolazione, italiana e non.

Precedenti eclatanti Tito, Krushev, Trockij, i comunisti anti-cominformisti, la vecchia guardia del PCI, i democristiani ed il centro destra: l’etichetta fascista, a ruota, se la sono vista attaccare anche esimi esponenti dell’anti-fascismo. Trockij fu forse il primo, ma anche gli anarchici combattenti in Spagna ed invisi all’Urss furono accusati dal Fronte Popolare di essere fascisti. Tito si vide affibbiare l’etichetta dopo la rottura con Stalin, l’espulsione dal Cominform e l’avvicinamento all’Occidente.
Krushov ebbe un doppio onore, quello di essere fascista e revisionista in un colpo solo. Nel 1956, infatti, aveva condannato apertamente i crimini dello stalinismo (dei quali peraltro fu complice), attirandosi così gli odi dei partiti comunisti occidentali, al tempo ancora legati al “mito” di Josif Stalin.
L’ottavo Presidente della Repubblica Italiana Francesco Cossiga, Ministro della Difesa e Ministro dell’Interno negli Anni caldi della Contestazione e del terrorismo politico, fu spesso associato al fascismo dalle frange più radicali ed extraparlamentari che, per lui, coniarono il soprannome “Kossiga” scritto con la “K” e la doppia s come le rune delle Schultzstaffel naziste.
Non mancò inoltre chi, nelle piazze degli Anni Settanta, accusò i vecchi militanti del PCI di fascismo, perché legati ad un’idea di comunismo del quale gli extraparlamentari rappresentavano elemento di rottura.
“Fascista” è toccato infine al centrodestra italiano (liberali, conservatori), agli ex missini, ad ambienti cattolici conservatori. Addirittura Bettino Craxi, di tradizione socialista ed antifascista, fu talvolta ritratto con camicia nera e stivaloni alla Mussolini in vignette satiriche.
Ultimamente è toccato, oltre che a Putin, ai partiti cosiddetti “sovranisti” ed ai loro leader: Mario Le Pen, Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Viktor Orban ed i presidenti dei paesi del Gruppo Visegrad. E al 45° Presidente USA Donald Trump.
In verità il fascismo è finito come esperienza politica nel 1943. Già quello di Salà è considerato, da alcuni storici, “neo-fascismo”. Il termine è rimasto in uso, in chiave poco storica e molto politica, dal ’45 ad oggi per screditare gli avversari politici, dimenticando però che tale sistema non rende giustizia alla Storia ed alle vittime delle ideologie autoritarie e totalitarie del Novecento.
No, di fascisti fascisti ve ne sono ben pochi, gruppi sparuti che mancano di peso specifico nella politica italiana ed europea. Putin non lo è di sicuro, come non lo sono stati Krushev e Tito, Cossiga e Craxi. Ma il ricorso alla Storia come ad un’ “arma” per colpire gli avversari non si ferma, forte della già poca abitudine ad approfondire il presente ed il passato.