I monaci amanuensi? Erano maestri nell’arte del “riciclo”. Quando, per vari motivi, un testo non interessava più, lo raschiavano via dalla pergamena e riutilizzavano la superficie per copiarne uno nuovo. In apparenza, ciò che era scritto sotto andava irrimediabilmente perduto, ma per fortuna non è così.
I manoscritti di questo tipo, detti palinsesti (il termine deriva dal greco e sta per “raschiato di nuovo”), hanno infatti conservato tracce dell’inchiostro di cui erano stati impregnati la prima volta e, tramite tecniche sofisticate, possono essere decifrati. Nell’Ottocento si utilizzavano a questo scopo tinture di bile e idrosolfuro di ammonio, che però, alla lunga, corrodevano la pergamena fino a distruggerla: ad andare perduti erano così entrambi i testi, l’antico e il recente.
Oggi si ricorre invece a metodi non invasivi, come raggi ultravioletti e immagini digitali. Grazie a essi, nel tempo sono riapparsi testi che si credevano perduti per sempre, come le epistole del retore Marco Cornelio Frontone, il De re publica di Cicerone, alcune commedie di Plauto, opere di Archimede e testi sacri considerati eretici, come la Bibbia “ariana” tradotta in lingua gota (e traslitterata con un alfabeto ad hoc) dal vescovo Ulfila nel IV secolo.