La teoria cara a Hitler, che i Romani fossero di discendenza nordica, trova ancora oggi sostenitori. Per giustificarla, i nazisti si appellavano a due scienze: l’antropologia fisica e la filologia comparata. La prima, che studiava i caratteri morfologici ereditari dei popoli, prendeva a modello la statuaria classica per sottolineare il fatto che un Apollo o una Venere somigliano molto più ai tedeschi piuttosto che ai greci moderni (i quali non andrebbero considerati gli eredi di Pericle e Aristotele, bensì genti levantine che hanno rimpiazzato gli antichi Elleni); a riprova di ciò, si sottolineava come Omero cantasse volentieri i
capelli biondi e gli occhi azzurri dei suoi eroi. La filologia, da parte sua, assicurava che la parentela fra lingue germaniche, latino e greco era molto stretta.
Queste affermazioni non sono totalmente campate per aria, è opinione comune fra gli studiosi di oggi che i popoli italici venissero da Nord, così come i Dori che fondarono Sparta. Dagli anni Ottanta, tuttavia, lo studio del DNA umano ha dimostrato che la sovrapposizione tra lingua e bagaglio genetico non è così univoca e che la classificazione delle razze umane, impostata tra Otto e Novecento, semplicistica e viziata dall’ideologia, risulta incapace di giustificare il mosaico etnico che compone il Vecchio Continente.
Immagine via commons.wikimedia.org, CC BY-SA 3.0
Note: l’argomento è affrontato in dettaglio nel numero 95 di BBC History, disponibile nello store Sprea Editori