Il 21 aprile 1912, sette giorni dopo l’affondamento del Titanic nell’Atlantico, i membri dell’equipaggio della Mackay-Bennett, una delle navi incaricate di recuperare i corpi delle vittime del naufragio più famoso della storia, avvistarono a pelo d’acqua la testolina bionda di un bimbo di circa due anni. Si trattava di uno dei 1.518 passeggeri (su un totale di 2.223) che avevano perso la vita la notte tra il 14 e il 15 aprile, quando il gigantesco transatlantico della White Star Line, ritenuto inaffondabile, si era inabissato dopo aver urtato un iceberg durante il viaggio inaugurale da Southampton a New York.
I marinai della Mackay-Bennett, profondamente colpiti dalla morte del bimbo, cercarono in ogni modo di restituire al corpicino almeno il nome, ma invano: quindi lo “adottarono” simbolicamente e, dopo il funerale, pagarono di tasca propria la lapide che dedicarono all’“infante ignoto”, collocata sulla sua tomba nel cimitero di Halifax, in Canada, dove riposano anche altre vittime della sciagura. L’identità del piccolo è rimasta un mistero per quasi un secolo.
Poco dopo la tragedia, qualcuno ipotizzò che la giovanissima vittima fosse Gösta Leonard Pålsson, il minore dei quattro figli di Alma Pålsson, una donna svedese anch’essa deceduta in quella maledetta notte: alcuni testimoni raccontarono infatti di aver visto Alma col suo bambino biondo in braccio poco prima che le onde li trascinassero via e la nave si inabissasse. Altri proposero l’identificazione con Eugene Rice, un bimbo irlandese di due anni anch’egli perito con la famiglia nel naufragio. La verità iniziò a emergere quando, nel 2001, Ryan Parr, professore alla Lakehead University dell’Ontario, effettuò l’esame del DNA sui resti. L’analisi delle ossa (alla riesumazione furono trovati solo tre dentini e un frammento del braccio lungo pochi centimetri) a confronto con i campioni prelevati dai discendenti della famiglia Pålsson diede però esito negativo. Ma se il bambino non era Gösta Pålsson, di chi si trattava?
Dai registri di viaggio, le piccole vittime del Titanic di età compatibile con quella del morticino risultavano essere soltanto cinque. Dopo ulteriori ricerche, la rosa dei possibili nomi si ridusse a due: il finlandese Eino Viljami Panula, di 13 mesi, e l’inglese Sidney Leslie Goodwin, di 19. Un primo esame dei dentini recuperati dalla tomba suggerì che l’età della piccola vittima doveva essere compresa tra i nove e i 15 mesi, portando i ricercatori a concludere, nel 2004, che il corpicino appartenesse a Panula.

Ma i dubbi restavano ed erano molti. Finché un paio di scarpine di cuoio, conservate al Museo Marittimo dell’Atlantico di Halifax, non ha definitivamente risolto il mistero. Il prezioso reperto era stato ritrovato nel 1912 da Clarence Northover, un sergente di polizia canadese, durante le operazioni di recupero dei corpi: per evitare ogni possibile caccia alle macabre reliquie, le autorità avevano ordinato di bruciare tutti gli abiti trovati addosso ai cadaveri ma il sergente, commosso, non aveva avuto il coraggio di distruggere quel paio di scarpine e le aveva nascoste in un cassetto al comando di polizia, conservandole
gelosamente per anni. Nel 2002 il nipote di Clarence, Earle Northover, le aveva infine donate al Museo, ma a guardarle erano troppo grandi per essere indossate da un bimbo di 13 mesi.
Un nuovo esame del DNA ha permesso agli esperti di concludere, questa volta definitivamente o quasi (le probabilità si aggirano attorno al 98%), che i resti dell’“infante ignoto” appartengano a Sidney Leslie Goodwin. Il bambino, di 19 mesi appena, viaggiava con il papà Frederick, la mamma Augusta e altri cinque fratelli: erano inglesi e si erano imbarcati sul Titanic con il biglietto di terza classe diretti a Niagara Falls, nello stato di New York, per raggiungere lo zio già emigrato in America nella speranza di una vita migliore. La notte della tragedia, l’intera famiglia scomparve nelle gelide acque dell’Atlantico e nessuno dei corpi fu recuperato.
Il DNA estratto dai resti è stato confrontato, nel 2007, con quello dei discendenti dei Goodwin rintracciati negli Stati Uniti: il responso, secondo gli studiosi, lascia pochi dubbi. Ma anche se il mistero dell’identità del piccolo sembra essere stato risolto, la lapide dell’“infante ignoto” è rimasta al suo posto nel cimitero di Halifax in memoria degli altri 50 bambini che, in quella terribile notte di oltre un secolo fa, persero la vita inghiottiti dall’oceano.
Note: l’articolo appare sul numero 83 di BBC History, disponibile in digitale nello store Sprea Editori