La Balena della Barafonda. Memorie di una Romagna che non c’è più

Rimini, zona Barafonda, aprile di tanti, tanti anni fa. La Romagna non è ancora presa d’assalto dai turisti. E’ infatti aprile e, inoltre, siamo in un momento drammatico per la storia italiana. E’ domenica 4 aprile del 1943, anno in cui le sorti della Seconda Guerra Mondiale volgono decisamente a sfavore dell’Italia.

Un pescatore, Pino Bignardi, esce a ritirare le reti. E’ mattina presto, dunque ancora buio, quando si accorge che poco distante da lui c’è una enorme massa nera che sbuffa. E’ un capodoglio, cetaceo odontoceto (ha i denti non i fanoni come le balene), arenatosi nell’acqua bassa.

Allarmato, l’uomo torna a riva e avvisa il padre con il quale lega una corda alla coda dell’animale e la fissa ad un palo.

Nel giro di poche ore una folla si raduna alla Barafonda incuriosita da ciò che sta accadendo. Non sapendo che pesci pigliare, alcuni pensano di trainare il capodoglio a riva con l’aiuto di buoi. Ma il cetaceo non ci sta e, con un semplice colpo di coda, si libera dell’imbrago e disperde i bovini.

Si è fatto giorno inoltrato e i riminesi nessuno sa ancora come spuntarla. Nel frattempo alla Barafonda i riminesi si sono dati da fare: chi allestisce un parcheggio per le biciclette, chi mette a disposizione la propria barca per vedere da vicino il bestione. Tutto a pagamento, naturalmente!

E’ vero: quanto i curiosi hanno davanti è uno spettacolo della Natura: 12 metri per quasi 3 di altezza. Un portento di animale che, tuttavia, finisce per morire sulle secche con una raffica di mitra. Ciò che ne segue è l’orrore generale per l’acqua rossa del sangue della bestia uccisa e l’odore appestante di putrefazione.

Stando a quanto riportano articoli di giornale del tempo, le operazioni di smembramento durano fino al 7 aprile. Secondo alcune fonti ciò che resta dell’animale è venduto ad un commerciante di saponi. Il capodoglio è infatti noto per l’olio contenuto nella sua testa (noto per questo anche come spermaceti) con il quale, fino alla metà del XIX Secolo, si producevano candela e combustibile da lampada. Ma, essendo periodo di grande penuria di bene a causa della guerra, alcune donne a raccogliere, furtivamente, olio e grasso durante le operazioni di smembramento per poter produrre, da sé, il sapone.

L’8 aprile il Resto del Carlino riporta la notizia che lo scheletro, ricomposto e pulito in una soluzione liquida di calcio, sarebbe stato donato al Museo di Rimini.

 

 

 

 

 

 

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(Immagine di sfondo: Rimini, 4 aprile 1943. Il capodoglio arenato. Fonte immagine: http://www.cristella.it/blog/2007/12/18/una-balena-a-rivabella-quando-il-mare-si-coloro-di-rosso/)

 

 

Redazione Conoscere La Storia

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