L’arresto del 22enne somalo Rashiid Dubad, condotto dalla Digos il 31 maggio 2019 a Cinisello Balsamo, nell’hinterland di Milano, ripropone preponderante e centrale come non mai il tema delle infiltrazioni terroristiche in Italia. “L’ISIS è stato sconfitto” titolavano non molto tempo fa alcuni quotidiani nazionali. Già, ma solo militarmente e unicamente in Siria, verrebbe da aggiungere. Perché la forza letale di questa temibile organizzazione non è mai risieduta nella specifica potenza militare, che ha più volte espresso nel corso del triennio 2014-2017: chi si è convinto di questo, si è sbagliato e di grosso.
L’ISIS, o, per meglio dire, Daesh, è stato ed è tuttora un fenomeno terroristico molto più complesso, multidimensionale, multifattoriale e multidisciplinare, che ancora non ha conosciuto la parola “fine”. Oggigiorno, in Italia e in particolare a Milano, si sta assistendo alla reale concretizzazione di quello che, per anni e in più occasioni pubbliche, gli analisti hanno sempre sostenuto con forza: l’incredibile resilienza della virulenza ideologica dell’organizzazione e la propria intrinseca capacità di mutare diffondendosi, garantiscono allo Stato Islamico la continua possibilità di sopravvivenza.
Oggi gli operatori delle “Brigate Internazionali di Daesh”, seguaci di un’ideologia auto-alimentata dal mito del Califfato Islamico, non si nascondono più all’ombra delle guglie del Duomo di Milano o della Madonnina d’oro che abbraccia la città. Al contrario, i terroristi preferiscono i palazzoni fatiscenti delle periferie ad alto tasso di abusivismo, oppure i paesi immediatamente a ridosso dei blocchi urbani metropolitani, rendendo oltremodo vitale la definizione geo-strategica della cosiddetta “cintura milanese”, area urbana periferica ad alto rischio d’infiltrazione jihadista. Senza contare che le tecnologie di comunicazione mediatiche scoperte negli ultimi anni, consentono ai terroristi di ottenere supporto logistico, ideologico e strategico in maniera rapida e spesso protetta in qualunque luogo della terra essi si trovino. Isolati dal mondo esterno, ma collegati al proprio interno, gli operatori sono pronti a colpire ogni forma di soft target a portata di mano.
L’ISIS in Italia e l’intelligence: come reagire?
Bene, anzi male. Che fare? La risposta è oltremodo semplice e consequenziale: cambiare forma mentis. Bisogna cercare in tutti i modi di sfuggire alle trappole algoritmiche che i terroristi hanno preparato per noi, in cui cercano in tutti i modi di farci cadere. Bisogna necessariamente concepire il singolo atto terroristico per gli effetti che provoca, non per le idee che lo ispirano. Ribaltando la tecnica di ragionamento, seguendo il più classico dei principi logici antitetici, non possiamo non renderci conto che, l’azione di prevenzione e di contrasto al terrorismo internazionale moderno, si deve basare necessariamente sulla strategia dell’annullamento degli effetti che il terrore ha nella popolazione.
Per togliere l’acqua al pesce che nuota nell’acquario, bisogna obbligatoriamente iniziare a concepire di dover utilizzare le medesime metodologie proprie dell’attacco terroristico, ribaltate però in forma e ottica di contrasto al fenomeno stesso: infiltrazione clandestina e singola attività d’intelligence all’interno delle strutture operanti; minimizzazione degli effetti dell’attacco attraverso il coinvolgimento dell’intera collettività (Crowd) nell’elaborazione delle procedure di “Protezione Collettiva”; rottura delle articolazioni socio-economiche che sostengono l’attività jihadista; disallineamento degli equilibri che caratterizzano l’efficacia dell’attacco Man VS Crowd, attraverso una profonda revisione delle regole di previsione, prevenzione e ingaggio nel contrasto della minaccia.
Queste sono solo alcuni dei topic & focus sui quali incominciare a ragionare. La risultante, l’optimum al quale tendere, sarà dunque la risultante di una fusione collettiva cosciente e consenziente, che preveda vari livelli di opposizione al fenomeno terrorista (sociale, economico, politico, militare) impegnati nel bilanciamento dell’equazione conflittuale, ovvero nell’annullamento conclusivo e terminale della residua capacità d’impatto sulla struttura collettiva da parte dell’organizzazione terroristica. Complicato? Sì, come tutti i cambiamenti epocali. Ma il tempo stringe.
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