Da Dresda ad Hanoi passando per l’Italia: il napalm protagonista delle guerre del ‘900

Phan Thị Kim Phúc (n. 1963). La fotografia forse più celebre della Guerra in Vietnam. L’8 giugno 1972 fu investita dal napalm sganciato dall’aeronautica sudvietnamita sul suo villaggio; lo scatto valse il Pulitzer al giornalista di Associated Press Nick Ut.

 

Amo l’odore del napalm la mattina! Ha l’odore della vittoria” E’ una delle citazioni più famose del cinema, sebbene “riformulata”:

Quell’odore di benzina, sa come di vittoria” è la citazione vera e propria pronunciata dal tenente colonnello Killgore in Apocalypse Now (1979).

Un’odore certamente meno piacevole di quanto descritto dal comandante statunitense quello del Napalm, acronimo di naftenico-palmitico, formula che in origine preveda l’uso di una sostanza ricavata dalla palma. Già perché la miscela incendiaria più nota della storia (cinematografica e non) nasce nella Seconda Guerra Mondiale, conflitto nel corso di cui è ampiamente impiegata, dal Pacifico all’Europa occupata dai nazisti.

Di bombe incendiarie l’Umanità ne aveva già viste. I bizantini, ad esempio, ricorrevano al fuoco greco nelle battaglie navali per incendiare e per seminare terrore negli equipaggi nemici. Inoltre, lanciafiamme e spezzoni incendiari lanciati dai velivoli erano noti almeno sin dalla Prima Guerra Mondiale.

L’impiego massiccio di bombe incendiarie e al fosforo è realtà nella Seconda Guerra Mondiale: l’Operazione Pancake in Italia, nell’inverno 1944, assiste ad un massiccio impiego di napalm sulla linea del Senio, in Emilia-Romagna. Mentre Dresda, la “Firenze di Germania”, è rasa al suolo da un massiccio bombardamento alleato nel febbraio 1945. Ne La Pelle Curzio Malaparte descrive gli effetti terribili del fuoco del napalm e del fuoco chimico del fosforo.

Colonne di fuoco che si alzano da bombe esplose sulle città e nella giungla, come quella Indocinese che dal 1946 al 1975 diventa teatro di un lungo conflitto che vede contrapposto il Viet Minh di Giap e di Ho Chi Minh ai francesi e poi agli statunitensi.

La densità della vegetazione attraversata da una guerriglia invisibile, inafferrabile e soprattutto imbattibile spinge gli USA ad impiegare tattiche diverse, da veloci sortite in elicottero della fanteria aeromobile, a bombardamenti con il napalm ( e inseguito con i defoglianti) per “bucare” quella pericolosa trama di verde impenetrabile e di combattenti feroci e determinati.

Insieme agli elicotteri Huey, il napalm diventa simbolo della Guerra in Vietnam, primo conflitto contemporaneo ad entrare ogni giorno nelle case di miliardi di persone. E’ infatti documentato in prima persona ed in diretta dalle telecamere, che riprendono combattimenti ed orrori dell’evento che cambierà per sempre il volto degli USA. La potenza che aveva sconfitto nazisti e giapponesi e, altresì, arginato il comunismo in Corea viene ora battuto da un esercito partigiano. Non solo: sono documentate anche le atrocità dell’esercito statunitense, che fanno clamore considerando che gli Stati Uniti sono la più grande democrazia del mondo.

“We were soldiers” (2002). Il film ricostruisce la battaglia di Ia Drang del 1965 e mostra l’uso e gli effetti devastanti del napalm in combattimento.

Una eco mediatica che certamente non ha giovato all’immagine di Washington: malgrado i crimini di guerra siano stati commessi anche (e non pochi, peraltro) dalla guerriglia comunista del Nord, assistere alla lenta agonia della potente macchina bellica a “stelle e strisce”  impressiona il mondo. Soprattutto se l’agonia è raccontata da scatti a tinte forti come quella del fotoreporter di AP Nick Ut, che l’8 giugno 1972 immortala una bimba – Phan Phuc – ustionata proprio dal napalm e icona delle crudeltà cui sono esposti i civili in Vietnam.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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(Immagine di sfondo: impiego del napalm nel corso della 2° Guerra Mondiale. Fonte: qui)

 

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(Immagine di sfondo: fotogramma dal film We Were Soldiers – 2002 – nel quale l’impiego del napalm e i suoi orribili effetti sono ampiamente e dettagliatamente descritti).

Marco Petrelli

Nato a Terni, una laurea in Storia e una in Storia e politica internazionale, è giornalista e fotoreporter. Si occupa di difesa, esteri e reportage... questi ultimi di solito caratterizzati da un bianco e nero ad alto contrasto. Collabora, fra gli altri, con BBC History, AeroJournal, Affari Internazionali. Amante del cielo, ha dedicato due titoli alla storia aeronautica.

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